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Siinardi: fusione, ecco le prove del fallimento
 mercoledì 4 ottobre 2017 14:45
Siinardi: fusione, ecco le prove del fallimento Ho già provveduto ad illustravi, all’interno di un comunicato stampa ad oggi raggiunto da oltre 60 mila contatti, le motivazioni alla base di un “No” ragionato e consapevole a tale fusione
(Siinardi: breve guida ragionata per un “No” deciso e consapevole alla fusione ).
In questo comunicato, invece, vorrei spiegarvi come lo strumento della “fusione”, così come disciplinato dal Legislatore, sia stato un totale fallimento e come, nell’eventualità dovesse prevalere il “Sì” al referendum all’interno del bacino Corigliano-Rossano, la nuova Città Unica diverrebbe, nei fatti, la “cavia” di un esperimento “a freddo” senza precedenti e senza alcuna possibilità di ritorno.

Veniamo ai fatti. Dal 1946 ad oggi, in Italia, si è assistito a pochissimi processi di fusione, 86 comuni “fusi” su di un totale di oltre 8’000 comuni. Insomma, in 71 anni è avvenuta mediamente poco più di una fusione all’anno. Inoltre, tali 86 comuni fusi rappresentano solo l’1% degli 8’000 comuni totali presenti in Italia. Già questo potrebbe bastare a spiegare come tale strumento della fusione sia stato un totale fallimento tanto da riuscire a coinvolgere a malapena, in ben 71 anni, solo un’ottantina di Comuni. Ma non è finita di certo qui. Se analizziamo la popolazione residente di tali 86 enti fusi scopriremo come, nello specifico, più che definirli comuni bisognerebbe definirli, molto più propriamente, “contrade“. Infatti, pensate come ben 73 di essi (sugli 86 totali fusi, l’85%) abbiano una popolazione residente (post-fusione) di meno di 10’000 abitanti. Addirittura 48 di questi (sugli 86 totali, il 56%) conta meno di 5’000 abitanti. Ma è quest’ultimo dato ad essere davvero interessante: infatti, ben 33 comuni (sugli 86 totali, il 38%),addirittura, possono contare su di una popolazione post-fusione di meno di 3’000 abitanti. Solo il Comune di Lamezia (71’000 abitanti, unico comune “cavia” di dimensioni comparabili alle nostre, fuso nel lontano 1968) sarebbe paragonabile al “caso” Corigliano Rossano, su ben 86 comuni fusi. In ogni eventualità, Lamezia Terme, con un reddito pro-capite di soli 15’000 euro annuali, contro la media nazionale di oltre 20’690, è una delle province più povere d’Italia (Fonti: Istat e Sole24Ore).

Dunque, nonostante la fusione del 1968, a distanza di ben 50 anni, non sembra essersi manifestato alcun vantaggio economico concreto su quel territorio, tutt’altro. Chi, invece, sottolinea come la fusione a Lamezia abbia portato l’aeroporto non sa, invece, di cosa stia parlando. Infatti, il consorzio istituito al fine di dotare quell’area di uno scalo aeroportuale risale già al 1965 (3 anni prima della fusione) e lo scalo venne costruito solo nel 1976 (8 anni dopo la fusione). La zona di Lamezia non venne di certo scelta per i suoi 71 mila abitanti (che nel 1965 erano, tra l’altro, solo teorici) ma in quanto strategicamente posizionata a pochi passi dalla SA-RC, dalla ferrovia Tirrenica e, soprattutto, dall’area portuale di Gioia Tauro. Ciò a dimostrazione di come la fusione ed il numero di abitanti non c’entrino proprio nulla con la presenza di un aeroporto. Milano, con i suoi 1,35 milioni di abitanti ha un solo aeroporto (Forlanini a Linate), così come ne ha uno solo Còmiso, con soli 30’000 abitanti, in provincia di Ragusa. E ciò a dimostrazione di come la geografia aeroportuale dipenda da numerosi altri fattori che il semplice numero di abitanti (altrimenti Roma dovrebbe averne 15, di aeroporti, e Milano 10). Anzi, il trend dettato dalle sempre più numerose compagnie aeree low cost è proprio quello di utilizzare aeroporti decisamente “fuori mano” al fine di pagare costi inferiori per gli “slot” con ciò riducendo conseguentemente il prezzo del biglietto.

E’ del tutto evidente, e questa non è certo la mia opinione ma pura statistica, come lo strumento della fusione, in Italia, non abbia prospettato alcun vantaggio per i comuni di grosse dimensioni tant’è che, nei fatti, la fusione ha interessato ed ingolosito per la stragrande maggioranza dei casi solo i piccoli e piccolissimi comuni i quali hanno preferito unirsi piuttosto che rischiare di scomparire per sempre, atteso lo scarso numero di residenti. Nonostante tutto, attualmente anche i piccoli comuni stanno rifuggendo con forza la fusione. Pensate che solo in Lombardia, e solo considerando gli ultimi 4 anni, ben 13 consultazioni referendarie riguardanti la fusione di piccoli comuni sono state rispedite al mittente con un secco “No”.

La fusione non incrementerà la ricchezza pro-capite (Lamezia, una delle province più povere d’Italia, ne è un esempio), non avremo nessun nuovo aeroporto (gli aeroporti di Reggio, Lamezia e Crotone sono molto più che sufficienti a sostenere il traffico passeggeri Calabrese. Del resto, la Calabria ha un solo aeroporto in meno rispetto alla ricchissima Lombardia, gli stessi dell’altrettanto ricca Emilia Romagna ed uno in più del Lazio). Non verrà costruito alcun nuovo ospedale dopo la fusione, oltre a quello già previsto. Questo è quello che dicono i numeri. Se poi qualcuno vuole “interpretarli” a suo modo è libero di farlo. Concludo con una considerazione: sto sentendo in giro, da qualche fautore del “Sì” a tutti i costi, che la prova “provata” della convenienza della fusione è perché non esiste alcun comune fuso che poi si è “pentito” successivamente. Bella forza. La fusione è irreversibile e, dunque, una volta fatta non si potrà più tornare indietro. Insomma, è un po’ come se un suicida tornasse indietro dall’aldilà a dirci che si è “pentito”. Mi pare un poco difficile. Ma di “aria fritta”, di questi tempi, ce n’è così tanta che Corigliano sembra essere diventata una friggitoria a cielo aperto.
    COMUNICATO STAMPA
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