LA SANITÀ PUBBLICA È DANNEGGIATA DAL DECRETO LORENZIN |
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martedì 2 febbraio 2016 11:54 |
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È facilmente intuibile come la questione più sentita dai cittadini, calabresi e non, sia quella sanitaria ed in particolare, in questi giorni, il decreto Lorenzin che rende più stringenti i termini con cui si possono prescrivere le prestazioni mediche (esami specialistici, analisi ecc.).
Pensare di ridurre la spesa per i farmaci, eliminare le convenzioni mediche con cliniche private, razionalizzare appalti e costi di gestione per gli articoli sanitari, ridurre gli incarichi, sono obiettivi condivisibili perché potrebbero ridurre gli sprechi. Ma con il decreto ci sembra che si scelga di percorrere completamente un’altra strada, tutta a danno del cittadino, soprattutto se economicamente debole. Il decreto cancella l’idea della prevenzione e rende conflittuale anche il rapporto tra medico e paziente. Come dovrà comportarsi il medico di fronte ad una madre preoccupata per il pianto di un bimbo? Dovrà far prevalere i freddi criteri medici previsti dal decreto? Ed allora niente esami se non vi è una patologia ovvero se non vi è il “forte sospetto” che vi sia? Appare chiaro che siamo dinanzi alla prima sperequazione tra classi sociali: ci sarà chi potrà e chi non potrà accollarsi il costo delle prestazioni. E cosa accadrà quando ci sarà una mancata diagnosi per patologie che altrimenti avrebbero potuto avere cure tempestive? Ed ancora: può essere eticamente accettabile che una prestazione TAC sia prescrivibile dopo “dolori prolungati nel tempo” (almeno un mese)? Può essere condivisibile l’idea che un esame per il colesterolo debba essere prescritto – se non vi è la patologia ovvero se non vi è “uno stile di vita che lo rende possibile” – ogni cinque anni? E chi stabilisce questo “stile di vita”? In tutto questo, quale diventa il ruolo del medico? Un esattore delle tasse? Un burocrate freddo che sbatte un prontuario in faccia al paziente? Inoltre, ad oggi, ci risulta che dalle Asp nessuna riunione sia stata convocata per informare i medici su come applicare il decreto: ancora una volta, l’ennesima, viene a mancare il lavoro di coordinamento sul territorio e si dimostra lo stato di caos che la gestione Scura ha prodotto.
Certamente il cittadino, con la complicità del medico, ha approfittato del sistema, ma la soluzione non può certamente essere quella di cancellare completamente l’idea della sanità come diritto inalienabile. Invece il Governo sceglie proprio la strada del trasformare la sanità in un costo da accollare al cittadino – che comunque già lo paga con le proprie tasse – rendendo impossibile per una larga fascia di italiani accedere a cure basilari. Questa scelta, purtroppo, è da tempo alla base del nostro sistema sanitario: non più cittadini ma clienti/utenti; non più pazienti da curare ma costi da incastonare nei rigidi parametri economici voluti da Banche e Finanza.
Questo è l’ennesimo fallimento della sanità federata. La forbice tra le regioni ricche e quelle povere si è allargata, i debiti sono aumentati e le sacche di inefficienza sono aumentate a dismisura. In compenso la politica continua ad utilizzare la sanità come serbatoio di voti.
In tutto questo, quindi, appare quasi superfluo parlare d’ospedale unico, di buona sanità se poi non si parte dalla prevenzione. Si dovrebbe pensare alla medicina come un sistema di prevenzione, di proMozione di pratiche come la donazione di sangue e di organi. Rendere efficiente il sistema attraverso le cure domiciliari del paziente (anche le lunghe degenze sono meno traumatiche se affrontate nel proprio ambiente domestico). Ritornare a pensare che la sanità, ma il discorso dovrebbe essere allargato ad altre materie (dai rifiuti alle telecomunicazioni, dall’energia alle Poste), non può essere né fonte di arricchimento per qualcuno né vissuta come un costo insopportabile per la collettività.
Purtroppo nulla di tutto questo ci sembra in cima ai pensieri della politica, soprattutto calabrese, impegnata com’è a discutere di poltrone ed incarichi.
Vorremmo sperare che la politica, le istituzioni, le associazioni ed i sindacati di categoria affrontino la questione urgentemente costringendo il Governo a rivedere il decreto in termini più logici ed umani. Ed in particolare vorremmo invitare il Presidente Oliverio a ragionare su una possibile opposizione al decreto, come sembra stia per fare la Regione Toscana e come stanno facendo le numerose associazioni di categoria. Auspichiamo che al più presto si possa parlare del fallimento del sistema regionale della sanità e si capisca che non può rientrare nei rigidi parametri di spesa dello Stato imposti dall’Europa.
Alberto Laise coordinamento provinciale SEL
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COMUNICATO STAMPA
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