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Corigliano-Rossano: Caravetta “Come polli in batteria
“Questo tempo di costrizione, oggi svela le molte ipocrisie dello Stato, della politica e della nostra Italietta borghese“.
 venerdì 10 aprile 2020 16:08
Corigliano-Rossano: Caravetta “Come polli in batteria Pier Paolo Pasolini scrisse:“ Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica son due cose inconciliabili in Italia”. Il brano, estrapolato dall’articolo “Che cos’è questo golpe?” pubblicato sul Corriere della sera il 14 novembre 1974, esprime una verità storica e la testimonianza di un uomo libero che pone il coraggio intellettuale a prerogativa della verità, e la pratica politica, cioè la gestione del potere, come due aspetti inconciliabili. Egli chiarisce in quello stesso articolo che senza la libertà dell’uomo, ovvero di quel coraggio necessario per indagare la verità, non si potrebbe, difatti, ricercarla, e tanto diviene più difficile quando è il potere , cioè la pratica politica, a occultarla poiché è essa stessa la manifestazione del nascondimento. Nondimeno egli da Poeta conosce le figure retoriche, quali l’antitesi e l’ossimoro e ne traduce in atti, in scritti, e nella lotta dialettica e politica quell’ inconciliabilità che lo porterà ad essere l’uomo “politico” ed intellettualmente più attrezzato del secolo scorso. Pasolini, di fatto, e ad oggi, rappresenta l`unica pratica politica possibile in Italia, la sola e possibile lettura antropologica e critica, per riannodare il fili spezzati dell`ordito sociale e la trama umana su cui tessere un’Italia che è da tempo ripiegata su se stessa. È nei suoi pensieri ed opere che scopriamo il politico di razza in Pasolini, per ingenuità o per conformismo noi lo classifichiamo intellettuale impegnato, ma la sostanza non cambia. Vi è di certo che egli muove da posizioni dialettiche che non sottendono a partiti, maggioranze o ad opposizioni. Parla a nome di tutti e lo può fare per virtù dialettiche e poetiche. Difatti, oggi sappiamo che la sua è stata una verità politica di straordinaria portata, non solo in anticipo sui tempi ma che rappresenta l’ opera di un genio che ha offerto la sua visione del mondo fino al sacrificio estremo della vita. Un veggente che aveva pre-visto lucidamente 50 anni fa senza margine di errore i rivolgimenti sociali dei nostri tempi. Un intellettuale profetico, un poeta, un artista, un uomo granitico che in perfetta solitudine ancora oggi sgomenta e sbriciola ogni tentativo che possa presentarsi come sinistra politica moderata o radicale, intellettuale ,borghese o sindacale. Un uomo che si è posto e si pone con le sue opere e le sue analisi a baluardo inespugnabile di verità, offrendo salvezza agli ultimi residui di umanità, ergendo ad opera d’arte gli ultimi, i socialmente “inutili” ragazzi di borgata, il Cristo plebeo del suo Vangelo. Un uomo sul quale il Pci , il PDS , i DS, i Dem e tutto quell’arcipelago sinistro, e la stessa magistratura , la chiesa di Paolo VI, ed ovviamente il potere nelle sue varie forme e manifestazioni si sono frantumati, come moscerini su di un parabrezza, sulla sua produzione letteraria, e dunque politica, inconsumabile. Ma su cosa il Poeta ci aveva avvertiti? Pasolini aveva difeso strenuamente un’umanità in via d’estinzione, quella che produceva fatti reali, la vita vera. Ci aveva messo in guardia dal progetto utilitaristico e consumistico del capitalismo delle lobby, dal rischio palpabile dello scambio del nostro vivere vero con uno falso e becero e di un’inattuabile felicità, che i caroselli televisivi rimandavano con la signorina buonasera ai prodotti di quelle fabbriche degli industrialotti del nord Italia, cioè in quel che resiste ancora da mezzo secolo e passa come la locomotiva d’ Italia. Area produttiva oggi messa in ginocchio da un microbo e posta dinanzi ad una singolarità, a qualcosa di inaspettato e non prevedibile. Solo il tempo ci dirà chi ha avuto la meglio, se la natura o la disumana civiltà. Perché, difatti, questo tempo di costrizione, oggi svela le molte ipocrisie dello Stato, della politica e della nostra Italietta borghese. Ci scopriamo come un “non popolo” molto vulnerabile e meno onnipotente, essenzialmente falso e contiguo al crimine. Dove speculiamo su dispositivi medici, sui prodotti di prima necessità. Questo avviene in un’ Italia che conta centinaia di morti al giorno, e che a parte qualche medico o infermiere e rari casi umani, non si sente, o si avverte alcuna indignazione per l`evidente inadeguatezza del sistema sanitario. Nessuna indignazione per i medici morti perché mandati a mani nude a difendere un popolo che non meriterebbe nessuna salvezza. Scopriamo ad esempio l’inconsistenza della Comunità europea e dello Stato italiano. Peraltro aspetti già anticipati in sede di Costituente dal nostro Mortati e sottoposti ad analisi di fondo per superare i limiti di una nazione che presentava e presenta differenze e disparità, mai volutamente affrontate, tra nord e sud. Dunque non vi sono da ricercare responsabilità singole da appioppare ad intellettuali, politici, partiti, sindacati ma ad un’intera collettività che ha svenduto la propria esistenza per la rassicurante occupazione di voler vivere per sempre nel ventre materno. Al sicuro. In Italia , soprattutto al nord, le donne rappresentano l`emblema di un tale fittizio benessere propagandato dal capitalismo, donne che si sono preoccupate, molto, per realizzarsi in libertà un`esistenza autonoma, senza considerare il grave costo umano e spirituale che ne è derivato nel concedere con sacrificio sull’altare del capitalismo femminilità e maternità ,dunque, ponendosi sullo stesso piano competitivo maschile ma che, difatti, tale scelta da sempre, spinge e favorisce una più efficace produttività di merci. È evidente che per il sistema capitalistico ed utilitaristico fare figli significa rimettere in PIL, in produzione, con gravi costi per lo Stato e l`impresa. Fare figli, oggi, diviene quindi un lusso per pochi , per ricchi capitalisti. Questo è aberrante!, non certo il virus che certamente falcidierà vite umane ma che nulla può su un’umanità così spietata e cieca. Tanto cieca da accorgersi solo ora che i bambini ed i ragazzi stanno in appartamento chiusi 24 h non stop come polli da batteria. Non, quindi, prima, quando la politica sin dalla fine degli anni ‘60 iniziò ad andare a braccetto con gli speculatori edili. E ciechi fino al punto che solo oggi ci accorgiamo che noi genitori abbiamo delegato alla scuola ed al telefonino ogni obbligo educativo. Così tanto ciechi che scopriamo solo ora che la scuola, a sua volta, soprattutto al sud, è impreparata ad affrontare pedagogicamente una didattica a distanza dove il cuore dei docenti è raffreddato dai collegamenti video, o ridotti su smartphone, dal non guardare negli occhi gli allievi che da casa muovono altre app e giochi comodamente dal divano o peggio dal giaciglio. Cosi accecati noi tutti , ma proprio tutti, tanto che ci stiamo inaridendo come quelle piante grasse che costretti in spazi angusti e senza luce non muoiono solo per inerzia, e attendendo una diversa parola che non sia il vagito “restate a casa!” .

Il cieco sviluppo industriale omologante ed utilitaristico non offre sul piano degli effetti lo sviluppo concreto della persona, della comunità o del paese. Ci siamo resi conto, forse, si spera, di quanto siamo miseri spiritualmente, e di quanti “giocattoli”, passatempi e vizi, ci servono per ingannare il giorno e la notte. Tempo che dovremmo, invece, trascorrere qualitativamente con le persone che amiamo, persone che davvero vorremmo conoscere o che nella vita si presentano a noi, così aprendoci al mondo, al bello, alla cultura. Ci accorgiamo solo ora dei particolari del volto dell’amico o del figlio del vicino che abbiamo incontrato mille volte. Del vecchietto che fatica a salire dei gradini. Lì dove noi li saltavamo senza curarci di chi non riusciva. E solo ora scopriamo il senso dei tanti valori trascurati come quelli della libertà, delle relazioni e degli affetti. Ora che siamo costretti ad occupare la mente con molta cura ed a spolverare i file dei ricordi. Ho sempre creduto in un principio solido , che l’albero lo si riconosce dai suoi frutti, e che un melo darà mele ed un ciliegio le ciliegie, cosi l’albicocco, l’arancio, il susino, il fico ect. Un poeta quindi scriverà poesie , un pittore realizzerà opere, ed un genitore lo riconosceremo dai suoi figli, un amministratore dalla comunità che amministra, un burocrate dagli atti trasparenti e pubblici , un politico dalla capacità di dare soluzioni ai problemi del territorio. Si riconosce il ladro da quel che ruba, ed il corrotto dal suo vendersi , il magistrato da come amministra la giustizia ed il costruttore da come realizza le sue opere edili, soprattutto quelle di urbanizzazione. Il medico da come cura i suoi pazienti. Possiamo riconoscere il giornalista dalla qualità dell`informazione e gli innamorati dai loro occhi. In qualche modo possiamo vedere chi abbiamo di fronte perché il frutto che offre non può essere di un altro albero. Tuttavia mi chiedo perché abbiamo, dunque, smesso di riconoscere l`uomo? Perché le opere che vediamo fatte da uomini non rispondono a verità? E che dunque scopriamo che morire fa paura, quando invece molti uomini e donne sono già morti e non da ora. Morti poiché trascinano il loro residuale esserci estraneo a loro, vivendo la vita di altri e fingendo sia la loro. Perché, e dovremmo tutti chiedercelo, non sentiamo lo sgomento per le morti di medici, infermieri e sanitari e restiamo impassibili sulle mancanze di uno Stato che non fornisce i dispositivi sanitari minimi e le cose più banali come mascherine e guanti agli operatori ed ai medici ? Perché non sentiamo nostra la comunità in cui viviamo ed invece prevale la paura di perdere qualcosa a cui non abbiamo dato mai il giusto valore: la vita. Perché è lapalissiano che non è vita condursi durante la giornata, ma di certo lo è sentire che l’altro è come noi, uomo o donna con i suoi limiti, e che una comunità non può essere depauperata per interessi personali , che la salute è fondamentale come la ricerca scientifica, lo stato sociale e la libertà di esprimersi. Come l`educazione e la formazione dei nostri ragazzi. E non vi possono essere giustificazioni per nessuno. Della nostra vita ne disponiamo noi ed è perfettamente inutile parlare da morti. Per questo scrivo, per la vita che da sempre ha necessità di essere difesa, garantita e curata. Da vivi, non certo da morti!
Buona vita a tutti.

    Alfonso Pietro Caravetta
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