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Salimbeni: “Non voglio una città col torcicollo. Guardiamo avanti!“
 venerdì 28 dicembre 2018 17:34
Salimbeni: “Non voglio una città col torcicollo. Guardiamo avanti!“ Da giovane che si approccia alla politica con curiosità e senza pregiudizi, guardo con interesse alla discussione in itinere che vede ad oggetto, non già le prospettive future della nuova Città Unica, ma ancora la validità o meno di diventarci.
Chi mi conosce sa la posizione che ho assunto in luogo di referendum sulla fusione tra Corigliano e Rossano. Una posizione che rivendico e della quale non mi sono mai pentito, anzi. Ho sempre guardato al “progetto di fusione” (non alla Città Unica) con un nutrito scetticismo, per cause sulle quali si è ampiamente dibattuto e che potremmo sintetizzare in un’unica formula: si credeva che quel progetto di fusione, per come era stato architettato, non avrebbe sortito gli effetti sperati, bensì un congelamento delle due comunità oltre che disagi e disservizi. Specie nel breve periodo.
Ai tempi, lo scetticismo manifestato dal “fronte del No”, venne visto come un tentativo di insabbiare l’idea di una fusione, quando, in verità, era tutt’altro. Le nostre eccezioni erano, perlopiù, volte ad una visione più completa di Città Unica: sia da un punto di vista “Politico”
che “tecnico”.
C’era tanta disinformazione e c’è tutt’ora. Ad esempio, abbiamo ancora chi crede che, siccome sulla legge Delrio (56/2014) non vi è esplicito riferimento alla “sede legale del nuovo comune”, la collocazione del commissario nella sede dell’ex comune di Corigliano Calabro sia illegittima. In verità, proprio la stessa legge Delrio (all’art.124, comma c) disciplina che, “in assenza di uno statuto provvisorio” si adotta quello del “comune di maggiore dimensione demografica”, dunque Corigliano Calabro. Ed è lo Statuto stesso a disciplinare la sede legale del Comune (art. 3, comma 1). Dunque, non esiste nessun “equivoco”. Il commissario è lì, non a seguito di una scelta discrezionale, ma per via di un atto dovuto nei confronti di una legge che, piaccia o meno, va rispettata.
Insomma, forse rallentare il passo per anticipare e non fronteggiare le attese criticità, non era poi così male come suggerimento. Ma tant’è.
Oggi, a più di un anno dal sopracitato referendum, la realtà ci da’ ragione. In primo luogo, abbiamo la triste prova (vedi soppressione inps Rossano) di quanto l’agenda politica nazionale non abbia per niente abbandonato il graduale depauperamento di questo povero fazzoletto di terra, in barba alla “terza Città della Calabria”. In secondo luogo, è evidente quanto la legge 182/10 si sia rivelata totalmente inadatta al processo di fusione, perché incompleta e, dunque, incapace di dare una struttura alla Città Unica. Incapace, anche, di definire quantomeno un sentiero da seguire ed evitare, magari, che 80mila anime diventassero ostaggio della babele dei “pentiti” e dei “sapientoni”, accusatori di ogni genere ed estrazione politica, tutti in coro nel cogliere l’evergreen del terzo millennio: dare la colpa ai tecnici, in questo caso al commissario. Troppo facile.
Il tutto, ad alcuni inorgoglisce, a molti altri deprime. Sono convinto di parlare a nome dei più, nel dire che il “fronte del No” non è affatto felice dell’attuale ed ampiamente prevista situazione della Città Unica. Il punto è che non possiamo permettere che le cose vadano avanti per inerzia. Anche, e soprattutto, chi mostrò scetticismo nei riguardi del progetto di fusione, ora è chiamato ad abbandonare l’atteggiamento del “te l’avevo detto”, scendere a patti con la realtà e capire che l’unica via percorribile è quella della presa d’atto.
Abbandonare il clima pessimo della campagna referendaria e portare comunque avanti le proprie istanze, nella consapevolezza che adesso non si è più di fronte ad un progetto di fusione da riformulare, ma ad una Città da costruire.
Io voglio credere che sia possibile e suggerisco una strada da percorrere.
Ci sono dei temi, dei modi e delle discussioni da archiviare per ambo le parti. Per un verso, c’è da deporre lascia da guerra e capire che il “no” era un fattore contestuale e non perpetuo. Abbiamo concorso in luogo di referendum ed abbiamo perso. Questo vuol dire che ora non si tratta più di volere o non volere un progetto di fusione, ma di rispettare o non rispettare una manifestazione democratica, il voto di un popolo che (piaccia o no) è il nostro Popolo! Per l’altro verso, si deve riparare ad una campagna referendaria di promesse lunari (ricordate il “più sanità, più lavoro, più ricchezza”?), condotta dai soliti 4/5 in malafede che si fingono fuori dalla realtà e che sono gli stessi fautori di quel clima pessimo, forse anche organizzato, che tutti ricordiamo. Sarà difficile da dimenticare la bassezza di quei tanti dirigenti di partito, onorevoli, presidenti di associazioni, tutti insieme travestiti da carbonari, declassati poi a semplici carboni: non più nobili rivoluzionari, ma abili incendiari. Perché per loro il momento saliente era solo uno: il voto. Tutta la discussione di merito, le prospettive future, le valutazioni di convenienza erano marginali, un di più, a volte un ostacolo. La bramosia di sfoggiare la loro vissuta dialettica su un argomento totalmente nuovo, tutto da determinare, era (ed è) per loro un fatto imprescindibile, quasi vitale per chi (e son tanti) ha fondato sull’attività politica praticamente tutta la sua vita. Perché, d’altronde, per galvanizzare un intero gruppo dirigenziale, bipartisan, precipitato nell’inesorabile limbo dell’irrilevanza, non poteva esistere espediente migliore che un piano di discussione distante il più possibile dalla dura legge del “quando c’eri tu perché non lo hai fatto”? Ecco, la parte sana del “fronte del Sì” (mi riferisco ai tanti giovani con la quale ho avuto il piacere e la fortuna di confrontarmi in luogo di referendum) deve dimostrarsi capace di assorbire l’atteggiamento dannoso e diseducativo di taluni componenti.
Per concludere, abbandoniamo tutti le nostre trincee e scommettiamo in un percorso che metta il dialogo tra le diverse anime come fondamento della nuova Corigliano-Rossano.
Non voglio che nasca una Città col torcicollo, ma piuttosto mi auspico che emerga una nuova concezione di Città Unica, che metta da parte la retorica dei pupari e dei pupazzi che la hanno rovinata e che ceda il passo a donne e uomini liberi che abbiano contezza delle enormi criticità che la caratterizzano e che non giochino, però, a confutarle, piuttosto a risolverle!
È inutile cambiare i confini di questo territorio, se non ne cambiamo la mentalità.
La Città Unica ha bisogno di profonde riforme, ma non di passi indietro. Avanti!
    Mattia Salimbeni
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