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Corigliano: Il Superiore dei Minimi padre Cozzolino dice NO alla fusione
 mercoledì 18 ottobre 2017 20:59
Corigliano: Il Superiore dei Minimi padre Cozzolino dice NO alla fusione Padre Giovanni Cozzolino oltre che essere il Superiore del Santuario di San Francesco di Paola di Corigliano è anche delegato Generale della Consulta di Pastorale Giovanile Minima, ed in una nota spiega “A questo tipo di fusione, per amore alla Verità nella Carità, anche io dico no! E aggiunge «UNA CORIGLIANO CALABRO UMILIATA IMPOVERISCE TUTTI!». Qui di seguito vi proponiamo l’intervento integrale di padre Cozzolino:

I vescovi italiani, nel documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, riaffermando la scelta della condivisione fraterna, riconoscono l’impegno di promozione umana manifestato dalla parte migliore delle Chiese nel Sud che «si è presentata come testimone credibile della verità e luogo sicuro dove educare alla speranza per una convivenza civile più giusta e serena». I molteplici frutti del lavoro umile e silenzioso delle Chiese del Sud, illuminato dai coraggiosi testimoni che hanno donato la loro vita per l’annuncio del Vangelo, vanno dalla vitalità del laicato alla fecondità di vocazioni alla vita consacrata e al ministero ordinato e questi frutti vengono presentati a tutta l’Italia, affinché possano essere un vero punto di forza nella creazione di un rinnovamento, che appare urgente, ma che sarà autentico solo se sarà basato, come affermato più volte dai ponte ci, sulla trasformazione delle coscienze e andrà decisamente nella direzione del ricono- scimento effettivo dei valori, che rendono dignitosa la vita dell’uomo. Siamo convinti che è indispensabile che l’intera nazione conservi e accresca ciò che ha costruito nel tempo, a partire dalla consapevolezza che «il bene comune è molto più della somma del bene delle singole parti». In questo senso, «affrontare la questione meridionale diventa un modo per dire una parola incisiva sull’Italia di oggi e sul cammino delle nostre Chiese», spiegano i vescovi, precisando che il punto di partenza del testo è «la constatazione del perdurare del problema meridionale», unita alla «consapevolezza della travagliata fase economica che anche il nostro Paese sta attraversando». Tutti fattori, questi, che «si coniugano con una trasformazione politico-istituzionale, che ha nel federalismo un punto nevralgico, e con un’evoluzione socio-culturale, in cui si combinano il crescente pluralismo delle opzioni ideali ed etiche e l’inserimento di nuove presenze etnico-religiose per effetto dei fenomeni migratori». Dal richiamo alla necessaria solidarietà nazionale, alla critica coraggiosa delle deficienze, alla necessità di far crescere il senso civico di tutta la popolazione, all’urgenza di superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti nasce l’appello dei vescovi «alle non poche risorse presenti nelle popolazioni e nelle comunità ecclesiali del Sud, a una volontà autonoma di riscatto, alla necessità di contare sulle proprie forze come condizione insostituibile per valorizzare tutte le espressioni di solidarietà che devono provenire dall’Italia intera nell’articolazione di una sussidiarietà organica». A nostro avviso in pochi anni sono cambiate tante cose: la geografia politica; l’avvio di un processo di privatizzazioni delle imprese pubbliche; il venir meno del sistema delle partecipazioni statali; la massiccia immigrazione dell’Est, dall’Africa e dall’Asia: spesso è proprio il Sud il primo approdo per migliaia di immigrati; la globalizzazione dei mercati ha portato bene ci ma ha anche rafforzato egoismi economici; la prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia. Potrebbe invece rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale, se riuscisse a contemperare il riconoscimento al merito di chi opera con dedizione e correttezza all’interno di un gioco di squadra. «Un tale federalismo, solidale, realistico e unitario, rafforzerebbe l’unità del Paese, rinnovando il modo di concorrervi da parte delle diverse realtà regionali, nella consapevolezza dell’interdipendenza crescente in un mondo globalizzato. Ci è congeniale considerarlo come una modalità istituzionale atta a realizzare una più moderna organizzazione e ripartizione dei poteri e delle risorse, secondo la sempre valida visione regionalistica di don Luigi Sturzo e di Aldo Moro». Per noi è necessario: Riprendere il cammino
della solidarietà reciproca. «Vogliamo riprendere la riflessione sul cammino della solidarietà nel nostro Paese, con particolare attenzione al Meridione d’Italia e ai suoi problemi irrisolti, riproponendoli all’attenzione della comunità ecclesiale nazionale, nella convinzione degli ineludibili doveri della solidarietà sociale e della comunione ecclesiale alla luce dell’insegnamento del Vangelo e con spirito costruttivo di speranza». Torniamo sull’argomento per ribadire la consapevolezza del dovere e della volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese. Oggi riteniamo indispensabile che l’intera nazione conservi e accresca ciò che ha costruito nel tempo. Il bene comune, infatti, è molto più della somma del bene delle singole parti», è «il bene di quel noi tutti, formato da indi- vidui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale». Guardare con amore intelligente
al Mezzogiorno e al Paese. Siamo invitati dai nostri vescovi a guardare con amore intelligente al Mezzogiorno e all’intero Paese nella consapevolezza che «lo sviluppo dei popoli si realizza non in forza delle sole risorse materiali di cui si può disporre in misura più o meno larga, ma soprattutto grazie alla responsabilità del pensare insieme e gli uni per gli altri». Il Signore ci spinge a metterci a servizio gli uni degli altri (cfr. Gv 13,14 e Gal 6,2), per- ché soltanto questa reciprocità d’amore ci permette di essere riconosciuti da tutti come suoi discepoli (cfr. Gv 13,35). «Il nostro guardare al Paese, con particolare attenzione al Mezzogiorno, vuole essere espressione, appunto, di quell’amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, in quanto tale condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti». «Se l’amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giusta convenienza», attingendo forza «dall’inesauribile sorgente dell’Eucaristia, esemplarità di condivisione, fonte e compimento della vita della Chiesa». Crescere insieme nell’accoglienza. È importante «promuovere la necessaria solidarietà nazionale e lo scambio di uomini, idee e risorse tra le diverse parti del Paese poiché un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia». La solidarietà nazionale deve aprirsi anche all’accoglienza degl’immigrati, che spesso al Sud vivono un primo approdo nella speranza e sperimentano quel «laboratorio ecclesiale in cui si tenta, dopo aver assicurato accoglienza, soccorso e ospitalità, un discernimento cristiano, un percorso di giustizia e promozione umana e un incontro con le religioni professate dagli immigrati e dai profughi». Non lasciamoci scoraggiare da deficienze, dalla «necessità di far crescere il senso civico di tutta la popolazione, dall’urgenza di superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti», occorre valorizzare sempre più le «non poche risorse presenti nelle popolazioni e nelle comunità ecclesiali del Sud, a una volontà autonoma di riscatto, alla necessità di contare sulle proprie forze come condizione insostituibile per valorizzare tutte le espressioni di solidarietà che devono provenire dall’Italia intera nell’articolazione di una sussidiarietà organica». Guardare al Sud
con occhi attenti e aperti al mondo
. I vescovi collocano «i problemi del Mezzogiorno nell’orizzonte dell’Europa e del Mediterraneo, che pone occasioni di nuove opportunità ma anche di nuovi problemi, da vivere con responsabilità nel contesto della globalizzazione». La Chiesa segue questi cambiamenti e li discerne alla luce della Dottrina sociale e del Vangelo, «che ci indica la via del buon samaritano (cfr. Lc 10,25-37): per i discepoli di Cristo la scelta preferenziale per i poveri significa aprirsi con generosità alla forza di libertà e di liberazione che lo Spirito continuamente ci dona, nella Parola e nell’Eucaristia». Non vengono nascosti i problemi che affliggono il Mezzogiorno: lo stravolgimento del mondo dell’agricoltura, il fenomeno delle ecomafie, il particolarismo familistico, il fatalismo, la falsa onorabilità, l’omertà diffusa, lo svantaggio delle donne nel superamento della disoccupazione e dell’inattività, la radicale fragilità del suo tessuto sociale, culturale ed economico, il divario nel livello dei redditi, nell’occupazione, nelle dotazioni produttive, infrastrutturali e civili , le mafie che avvelenano la vita sociale, pervertono la mente e il cuore di tanti giovani, soffocano l’economia, deformano il volto autentico del Sud, la povertà, la disoccupazione, l’emigrazione interna. Coltivare la speranza
per vincere la sfiducia. È fondamentale non lasciarsi schiacciare dai molteplici problemi che affliggono le nostre terre: «Contro ogni tentazione di torpore e di inerzia, abbiamo il dovere di annunciare che i cambiamenti sono possibili». Occorre guardare i «volti nuovi di uomini e donne che si espongono in prima persona, lavorano con rinnovata forza morale al riscatto della propria terra, lottano per vincere l’amarezza dell’emigrazione, per debellare il degrado di tanti quartieri delle periferie cittadine e sconfiggere la sfiducia che induce a rinviare nel tempo la formazione di una nuova famiglia. Sono volti non rassegnati, ma coraggiosi e forti, determinati a resistere e ad andare avanti». Il Mezzogiorno può trovare la ragione del proprio sviluppo valorizzando le sue risorse tipiche: «La bellezza dell’ambiente naturale, il territorio e l’agricoltura, insieme al patrimonio culturale, di cui una parte rilevante è espressione della tradizione cristiana, senza trascurare quel tratto umano che caratterizza il clima di accoglienza e solidarietà proprio delle genti del Sud». Occorre pertanto una svolta che prima che essere economica e politica sia culturale, cioè di valore, di priorità di scelte per la costruzione di un reale bene comune che sia per tutto il nostro Paese. Occorre far fronte all’emergen- za educativa, quale causa prima della crescente anomalia sociale ed inoltre al metodo da parte dei cattolici di mettersi in gioco con esperienze esemplari di aggregazione sociale che aiutino a coltivare la speranza, come la necessità di avviare una nuova stagione di responsabilità sociale e politica per uscire definitivamente nel Mezzogiorno da una mentalità di assistenzialismo e di dipendenza dai centri di erogazione delle risorse pubbliche. In pochi anni, siamo messi di fronte a numerose verità scomode; scomode per la classe dirigente nazionale che si è alternata al potere in questi ultimi vent’anni, per un Nord ripiegato su se stesso e sui suoi miopi interessi materiali, per un popolo meridionale che non ha saputo costruire un diffuso movimento di protagonismo sociale ed economico, ed anche per un frammentato popolo di Dio che per molti aspetti si è rinchiuso nel disimpegno politico e nel solidarismo assistenziale. I vescovi italiani invitano la società civile a svolgere il proprio ruolo, a non delegare la propria partecipazione attiva alla costruzione dello sviluppo del Paese e in particolare, secondo le parole di Giovanni Paolo II, ad «organizzare la speranza nella vasta area del Mezzogiorno e che spetta alle genti del Sud essere le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere del- la solidarietà l’intera nazione». Due sono le strade principali suggerite per fare del Mezzogiorno il punto di partenza della ripresa morale, civile, sociale ed anche economica e politica del Paese. Due strade non solo enunciate, ma anche già praticate. La prima è propria del ruolo dei laici, inseriti nella storia del mondo, e indicata da Gesù stesso: la lettura dei segni dei tempi. Questo significa imparare a leggere (e ad ascoltare) la realtà spirituale e materiale delle persone, nella loro situazione individuale e familiare, sociale e culturale, lavorativa ed economica. Non una lettura sociologica, quindi, ma umana, fatta di relazioni e di dialoghi, di confronto personale e comunitario. Di qui nasce la seconda strada: la lettura dei segni dei tempi trova la sua naturale prosecuzione nella relazione educativa. Il documento dei vescovi scuote le coscienze di tutti, denuncia le inadeguatezze delle classi dirigenti, invoca un nuovo senso civico di tutta la popolazione, chiamando alla mobilitazione morale e ricordando i martiri della lotta alla mafia a e all’illegalità. Il fenomeno delle ecomafie e la questione ecologica, la fragilità del territorio e la massiccia immigrazione che ne ha fatto il primo approdo della speranza per migliaia di immigrati: queste le vecchie e nuove emergenze del Mezzogiorno, che per i vescovi può diventare un laboratorio ecclesiale in materia di accoglienza, soccorso e ospitalità, ma anche di dialogo interreligioso con immigrati e profughi. La mafia è un punto nodale di questo documento; essa viene definita una delle piaghe più profonde e durature del Sud. Un vero e proprio cancro che ha ramificazioni in tutto il Paese. Veleno per la vita sociale, la mente e il cuore dei giovani, struttura di peccato. «La criminalità organizzata – il monito dei vescovi – non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionale». «Non è possibile – aggiungono – mobilitare il Sud senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie». Si denuncia così an- che l’esclusione dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, che favoriscono l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione e il condizionamento del mercato del lavoro. Don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana e il giudice Rosario Livatino – gli esem- pi citati dai vescovi – sono luminose testimonianze per dimostrare che una strada nuova è possibile. «Bisogna osare il coraggio della speranza!». È questo l’invito finale del documento, caratterizzato nonostante tutto da uno sguardo fiducioso, che sappia «ricercare il bene comune senza cedere a paure ed egoismi». Sulla scorta dei tanti testimoni che, per la verità, hanno dato la vita, la nostra società ha bisogno, dicono i vescovi italiani, di «una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Per tutti questi motivi, a questo tipo di fusione a scatola chiusa, dico no e il nostro territorio non potrà rinascere se non trova al suoi interno, nella sua cultura, nella sua gente, la forza per emarginare quanto di negativo ha bloccato la sua esistenza, per riprendere un cammino omogeneo con lo sviluppo nazionale e con l’intera comunità europea che si appresta ad un salto di qualità nella sua storia.
    Fonte: ilcoriglianese.it
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