Fusione: perché non riflettere su un possibile “stop&go“? |
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mercoledì 12 luglio 2017 12:20 |
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In un clima da “Guerra Santa“, tra speranze e insicurezze travestite da certezze in entrambi gli schieramenti, si procede verso il referendum peggiorando, giorno dopo giorno, il processo inclusivo e conoscitivo. Tutti, io per primo, diamo per assodate le nostre idee - ferme ed irremovibili - dimenticando che, appunto, sono idee, opinioni e, nel migliore dei casi, opportunità da cogliere ovvero pericoli da evitare. Quello, e lo affermano in maniera più o meno velata entrambi gli schieramenti o almeno gli interlocutori meno “invasati“, che emerge è proprio la difficoltà nell’interpretare il processo con dogmatica sicurezza perché mancano sia una legge quadro nazionale decente (la Delrio è penosa), sia regionale. Ogni ragionamento, ogni proiezione, persino quella sugli effetti del referendum, sono lasciati ad interpretazioni che, al momento, meritano rispetto ed attenzione. A rigor di logica sembrerebbe che sia normale credere che, se una delle due città votasse in maniera difforme dall’altra, essendo una fusione a due (rarissimo caso in Italia, unico se considerate le dimensioni medio-grandi e paritarie dal punto di vista demografico delle due città), il processo s’interrompa...Ma è una deduzione che non trova una norma chiara e cristallina. E, a ben vedere, lo stesso valore che si da al referendum, diventa sempre più imbarazzante: se il referendum ha solo il valore di una “consultazione indicativa“ perché arrovellarsi tanto sul suo esito? E, se è vero che ha ben altro valore, perché allora non ragionare sul quorum come, mi sembra, dicano i professori Jorio e Caterini? Non è un ragionamento “anti-democratico“ pensare che se, in una città ed in una materia così dirimente, il 60% dei cittadini non partecipa sia tutto normale. Ed ecco la seconda questione che dovrebbe far riflettere tutti: la partecipazione dei cittadini coriglianesi. Oggettivamente la nostra città è in ritardo rispetto a Rossano e questo, anche per colpa di un Consiglio Comunale ed un’Amministrazione confusa, pigra e latitante sulla questione. Ora, sulla spinta del ricorso dell’Ing. Capano e del cons. Caravetta, si firmano appelli e si “minaccia“ costituzioni di parte - ma al momento non ci risultano costituzioni di parte (tanto rumore per nulla?) - mentre per oltre un anno nessuno dei consiglieri ha mai aperto bocca sulla questione. Oggi, invece di preoccuparsi se le ragioni dei ricorrenti siano o meno fondate (il rispetto delle leggi dovrebbe essere sempre questione condivisa) la si mette su di un piano politico che non c’entra nulla con il ricorso stesso. La discussione politica doveva esserci e doveva iniziare mesi fa all’interno del consiglio comunale. Invece ci si è limitati a votare atti vuoti con la convinzione che, tanto, non si arrivasse così velocemente al punto in cui siamo. Ed ora qualcuno si trova a dover “pagare“ cambiali politiche pesanti. Altra nota, forse la più grave, stonata è poi il rapporto conflittuale che si sta instaurando tra i comitati del SI e quelli del NO: insulti, minacce e bugie fanno la loro “porca figura“ in entrambi gli schieramenti. E tutti, io per primo, ci siamo fatti trascinare in una discussione “malata“ che provocherà danni pesanti in ogni caso. La premessa ad ogni progetto di fusione, contenuta anche nei documenti parlamentari, è che le comunità si siano idealmente fuse ancor prima dell’inizio del processo. In sostanza, le cittadinanze devono percepirsi come una sola entità ancor prima che si metta in moto la macchina amministrativa...Questo avviene nelle nostre realtà? Ancor prima di ragionare su ipotetici vantaggi e ancora più ipotetiche sciagure, possiamo dirci una sola comunità integrata e risoluta? E la dimostrazione che ancora si ragiona in maniera separata e distinta è l’assenza di condivisione nella questione “accoglienza“: non mi sembra che l’Amministrazione rossanese si stracci le vesti per aiutare quella ausonica... Possiamo arrovellarci in interpretazioni legislative (dalla questione del quorum ai possibili investimenti, dal chi deve votare - comunitari? - alla possibilità di eludere il pareggio di bilancio ecc.) ma quello che rimane da costruire - ma dovrebbe essere quasi capace di nascere da se - è l’idea dell’essere un’unica entità. A mio avviso, oggi, questa volontà, questo sentirsi, ancora non esiste. Ed è li che bisognerebbe lavorare. Non si può pensare che valga la “presa di coscienza“ di un manipolo d’illuminati ovvero la “resistenza“ di un drappello di pessimisti, occorre che si allarghi a dismisura il campo e, questo, non può avvenire se non attraverso due momenti: lo sgombero della discussione da parte di ogni soggetto “aggressivo“ e/o “illuminato da Dio nel possesso della verità“, e la costruzione di un processo che chiarisca la assoluta mancanza di fini personali da parte di quella classe politica che ci ha guidato nel dirupo in cui oggi giaciamo. Perché, per quell’onestà intellettuale che tutti chiediamo, non possiamo affermare che le condizioni delle nostre città sono terribili, che sono il frutto di anni di malgoverno, e poi affidarci agli stessi soggetti che hanno governato il territorio - da Catanzaro a Roma - e permettergli di dare lezioni sul perché siamo impantanati. Poi possiamo ragionare su tutto o quasi (eviterei di tirare in ballo l’offerta sanitaria perché è un’offesa a chi vive l’angoscia di una situazione difficile dal punto di vista sanitario...l’ospedale non si farà o si farà per decine di motivi...non certo perché c’è o non c’è la fusione ovvero su voli pindarici legati ad aeroporti...), preferibilmente mettere a punto quei due o tre strumenti che tutti - o almeno quelli che non sono “illuminati da Dio“ - riteniamo utili, legge regionale (possibilmente scritta bene e non pasticciata...) e studio di fattibilità in primis, e partire da li. Nessun campanile da difendere, non credo nel concetto di “nazione“ figuriamoci se posso arrovellarmi su di una carta d’identità, ma solo un processo partecipato che ci faccia riflettere. Un dibattito su possibilità, speranze, progetti che potrebbero, se inseriti in una visione d’insieme in cui si mette l’intero mezzogiorno al centro dell’azione di Governo (la cui mancanza è il vero cappio che soffoca tutto il Sud), risultare essere innovativi nell’intero panorama italiano. Si può, come ha detto il dott. Promenzio, vedere la fusione come un atto d’amore, come un atto di fede e speranza...anzi dovrebbero essere soprattutto progetti “visionari“ in cerca di un futuro migliore per questa terra sempre più di frontiera...Ma, quella visione, deve essere ampia e condivisa...Gli atti di fede cieca li possiamo lasciare a chi sceglie la vita monastica...
Quindi si potrebbe ragionare su di un possibile rinvio di un anno del referendum, coordinare tavole rotonde, incontri e confronti, redigere uno studio di fattibilità e ripartire in un processo che sia realmente collettivo ed inclusivo. Si potrebbe ragionare al netto di storie passate che, oramai appartengono ad un tempo che non ci appartiene più nel bene e nel male. Si potrebbe costruire qualcosa che non si basi sulla paura di “Cosenza“. A volte fermarsi e ragionare, prendersi un attimo per riflettere ci porta più in fretta alla meta rispetto ad una corsa a perdifiato.
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Alberto Laise
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