SIINARDI: la Grande “Fuffa” della Fusione… Tutto quello che non vi dicono (loro) ve lo racconto (io)… |
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giovedì 19 gennaio 2017 19:08 |
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Durante il corso degli ultimi 2 anni il termine “fusione” è stato utilizzato sempre più spesso e volentieri per identificare, e spesso a sproposito, una sorta di “manna dal cielo” che verrebbe a calarsi sui comuni di Corigliano e Rossano qualora questi ultimi dovessero decidere di “fondersi” in un unico Ente. Altrettanto spesso, però, molti degli interlocutori, dei promotori e di “scienziati” vari che affrontano tale tematica non hanno la benché minima idea di che cosa stiano parlando. Ecco, anche in questo caso, da una parte c’è chi si recherà ad un eventuale referendum per votare “sì” mentre, dall’altra, ci sarà chi avrà capito il quesito. Ebbene, è necessario fare una doverosa premessa riguardo il “successo” ottenuto da tale strumento della “fusione” in Italia. Il processo di fusione di due o più comuni contigui è stato disciplinato fin dal 1990 con la legge 142 e, più recentemente, con la legge n. 56/2014 oltre al D.Lgs. n.267/2000. Il senso di questa legge, a mio parere, è uno ed uno solo: conseguire concretamente risparmi per i cittadini attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica, ottimizzando il funzionamento istituzionale, riducendo i costi e snellendo la burocrazia “efficientando”, di fatto, la struttura amministrativa. Tradotto: il nuovo Ente dovrà necessariamente spendere meno di quanto facciano i due comuni pre-fusione. Eppure, dall’entrata in vigore ad oggi, in Italia, sono stati solo 71 i nuovi comuni nati da un processo di fusione, su di un totale di oltre 8’000 enti presenti sul territorio. Attualmente, quindi, lo strumento della fusione ha consentito la nascita di un numero di nuovi comuni davvero esiguo (71) e pari a solo allo 0,8% del totale. In pratica, 2,6 fusioni all’anno, su oltre 8’000 comuni. Un po’ pochine. Allora, forse non è tutto oro quello che luccica. E, forse, se nel corso di 27 anni ci sono stati così pochi ricorsi allo strumento della fusione molto probabilmente è perché non si sono verificati, nei fatti, così tali e tanti vantaggi tangibili per le popolazioni interessate. Per capire, inoltre, quanto sia stato irrisorio l’impatto di tale strumento sul tessuto comunale italiano basti pensare che solo 4 comuni sui 71 “fusi” possono contare su di una popolazione superiore a 15’000 abitanti mentre, al contrario, ben 64 nuovi comuni “fusi” su 71 (il 90%) ha meno di 10’000 abitanti. Ad una prima occhiata, dunque, sembrerebbe essere dimostrato il reale obiettivo intrinseco alla legge che disciplina il processo di fusione ed il quale, evidentemente, era ben chiaro nella mente del legislatore: ovvero consentire alle centinaia, migliaia di piccoli comuni italiani con popolazione esigua di “fondersi” in un’unità comunale dalle dimensioni più razionali ottenendo meno spreco di risorse e maggiore semplificazione organizzativa. E, in effetti, è quello che è nei fatti avvenuto. Già questo basti a dimostrare quanto sia del tutto “sconcludente”, a mio parere, applicare uno strumento del genere a due realtà già grandi di loro come Corigliano e Rossano le quali, come se non bastasse, soffrono già di per sé di innumerevoli problemi finanziari. Premesso ciò, nonostante l’argomento fusione sia così “comune” in Città nessuno, e dico nessuno, ha mai inteso spiegare quali e quanti siano i potenziali vantaggi ed i potenziali svantaggi derivanti dalla fusione per i cittadini di entrambe le città, con la certezza dei dati e documenti alla mano. Perché una cosa deve essere chiara: realizzare la fusione ha senso solo nel momento in cui siano specificamente individuati nel concreto reali vantaggi per i cittadini quali, ad esempio, la diminuzione delle tasse a parità di qualità e quantità dei servizi erogati o, in alternativa, maggiore qualità e quantità dei servizi a parità di tasse pagate, eventuali nuove infrastrutture realizzate. Insomma, la fusione deve rappresentare un risparmio per i cittadini e non un costo, altrimenti verrebbe snaturata completamente la stessa legge che ha previsto quest’ultima come strumento di riduzione della spesa e non certo di incremento della stessa. E su questo penso che siamo tutti d’accordo. Il problema, però, è che in caso di fusione di Corigliano e Rossano, a mio avviso, non solo le tasse non diminuiranno ma, ancora peggio, aumenteranno e/o diminuirà anche la qualità e la quantità dei servizi offerti. E vi spiego il perché. Uno dei pochi vantaggi i quali potrebbero derivare da una potenziale fusione tra Corigliano e Rossano sarebbero quelli relativi, ad esempio, allo sfruttamento delle economie di scala. Facciamo l’esempio della spesa per la raccolta dei rifiuti la quale, sia sul bilancio di Corigliano che su quello di Rossano, pesa davvero tanto. Senza entrare troppo nello specifico, è ovvio che se il nuovo comune fuso emAnasse un bando unificato per l’appalto della raccolta dei rifiuti riferito ad 80’000 abitanti potrebbe, ma comunque non è di certo garantito, “strappare” un prezzo inferiore a quello che otterrebbero i due comuni singolarmente e la differenza, ovviamente, sarebbe a tutto vantaggio dei cittadini i quali la ritroverebbero in bollette più “leggere”. Il problema, però, sempre in relazione a questo banalissimo esempio, è che Rossano il bando l’ha già fatto mentre Corigliano è giusto in attesa di assegnarlo e, quindi, visto che si tratta di bandi quinquennali, prima di poterne fare uno comune passerebbero numerosi anni, senza contare tutti gli altri. E, come se non bastasse, mi pare che la Città di Rossano abbia già sottoscritto con Longobucco un accordo del genere, come centrale unica di committenza mentre Corigliano la stessa centrale unica l’ha costituita solo lo scorso ottobre 2015, facendo riferimento a Cosenza e, inoltre, più recentemente, la stessa Rossano ha aderito ad un “flag”, “i borghi marinari della sibaritide”, virando in maniera diametralmente opposta a quella della Città di Corigliano. E, dunque, come intenderebbero risolvere e superare tali e tante discrasie i due Comuni? Ancora, in relazione all’ordinamento degli uffici e dei servizi, ad esempio, quali e quanti di questi verranno accentrati? Quali resteranno decentrati? E, quindi, dopo la fusione, nel nuovo Comune ci sarà un solo settore ed un solo responsabile per ogni ufficio oppure continueranno a esserci due responsabili per due settori? Le aliquote tributarie saranno uguali per entrambi i territori? Pensiamo ai debiti dei due comuni. Poniamo il caso, solo a titolo di esempio, che la città X abbia 30 milioni di debiti e la città Y ne abbia 40, invece, di debiti. I cittadini della città X saranno disposti ad “accollarsi” gli ulteriori 10 milioni di euro di debiti dell’altra città in un bilancio unico? E gli esempi pratici sarebbero davvero centinaia, ma mi fermo qui. A tutte queste ovvie domande è stata mai data una qualche risposta? A me non pare. L’importante, a sentire la maggior parte dei discorsi, è “fondersi” a prescindere che poi, a queste cose, ci pensiamo dopo. Non mi sembra un ragionamento affatto sensato.
Fine prima parte
Dott. Enzo Claudio Gaspare SIINARDI
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COMUNICATO STAMPA
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