La politica è il teatro della provvisorietà |
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mercoledì 1 febbraio 2017 19:34 |
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Oggi siamo così... Quando la politica non decide ma si limita a cercare di accontentare un po’ tutti (e chissà perché...) oppure, ancora peggio, si riduce a semplice faida interna a questo o quel partito, perde il vero significato che dovrebbe avere. Nel senso buono del termine. E i risultati si vedono. Le nostre cronache sono ricche di esempi ( vedi le ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio Provinciale di Cosenza 2017 ). Ormai ci stiamo rassegnando alle incertezze. Alla provvisorietà come condizione stabile. Può apparire un discorso scontato, ma per questo è più significativo. Perché ci capita di ascoltarlo e di ripeterlo ogni giorno. In automatico. A proposito del lavoro, dei giovani, dell’economia, del mercato. Della politica. Già la politica. Che offre rappresentanza e rappresentazione agli orientamenti e ai comportamenti pubblici dei cittadini. È il teatro della provvisorietà. Tutto accade per una scomparsa di uomini politici di mestiere, non di professione. La professione è altra cosa, presuppone preparazione, capacità e spirito di sacrificio. Chi oggi ci amministra ne è privo. Anzi, è proprio la mancanza di questi requisiti che consente ai mestieranti, agli improvvisanti dalla voce risonante di affermarsi. E la scena politica ne è piena! Anche nei giudizi c’è un appiattimento drammatico! Una volta si era portati ad affermare il proprio ruolo, la propria capacità e le proprie competenze sul campo. Io sono più capace, io sono più onesto. Io sono migliore! Ma non a parole, con i fatti! Ed il operato era da tutti visto e da tutti valutato. Merito al merito. Demerito al demerito. Oggi no! Non si è nelle condizioni di poter dimostrare il proprio valore, perché se ne è privi. E allora? Facile! Si elimina l’avversario affermando e dimostrando che lui è peggio di me! Allora avanti con pettegolezzi, calunnie, con la ricerca di scheletri riposti in armadi (molto spesso aperti e vuoti), cercando la pagliuzza nell’occhio dell’antagonista. Non ci sono più idee. Niente obiettivi comuni. Oggi per oggi e domani chissà! L’importante che oggi comporti il massimo vantaggio per me e, se possibile, per chi rappresento. Gli altri? Si fottano! Anzi, se non riesco a trarre vantaggio, mi impegnerò ad arrecare il maggiore danno possibile agli altri. L’amarezza? Consiste nel fatto che, nel confessionale, ammettiamo l’appiattimento, la miseria ideologica, l’egoismo e l’interesse di parte, ma appena fuori della chiesa, sul sagrato, col petto in fuori torniamo a far parte della massa appiattita, priva di idee, egoista, pettegola, psicologicamente suddita e, soprattutto, incapace di reagire!
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