TERRITORI «INTRISI DI MAFIA» E MINACCE AGLI AMMINISTRATORI, CALABRIA QUARTA IN ITALIA
Il report “Amministratori sotto tiro” di Avviso Pubblico parla 559 atti intimidatori ai danni di pubblici amministratori censiti nel 2019.
lunedì 22 giugno 2020 16:55
 
Territori «intrisi di mafia» e minacce agli amministratori, Calabria quarta in Italia

Presentato il rapporto “Amministratori sotto tiro” stilato da Avviso Pubblico, la rete degli Enti locali e delle Regioni per la formazione civile contro le mafie. L’associazione ha censito, nell’anno 2019, 559 atti intimidatori, di minaccia e violenza nei confronti degli amministratori locali, una ogni 15 ore. Sono state 83 le Province coinvolte – oltre il 75% del territorio nazionale – e 336 i Comuni, il dato più alto mai registrato. Per la seconda volta nella storia di questo Rapporto sono stati censiti atti intimidatori in tutte le regioni d’Italia. Alle minacce più tradizionali vanno aggiunte «quelle alimentate dalla rabbia sociale che viene scatenata contro Sindaci, assessori e consiglieri dalla strumentale pubblicazione di fake news sui social network». L’incipit del report è affidato al presidente, Roberto Montà, che evidenzia la crescita di questo fenomeno veicolato dalla cattiva informazione (spesso anche di matrice politica). Il censimento permette inoltre di tracciare la geografia delle mafie (sempre in espansione anche oltre le regioni “storiche”) e della criminalità più in generale rimarcando l’attenzione su un fenomeno speculare ad un’attività amministrativa viziata, quindi allo scioglimento degli Enti per infiltrazioni mafiose e non solo. Va detto infatti che le minacce censite non sono soltanto di matrice mafiosa. Da alcuni anni il Rapporto si sofferma anche su quelle intimidazioni che giungono agli amministratori locali e al personale della Pubblica Amministrazione da parte di comuni cittadini. Le ragioni sono tra le più disparate: malcontento suscitato da una scelta amministrativa sgradita (33,6%); disagio sociale, spesso legato a problemi legati al tema del lavoro (18%); estremismi politici (17%); e il 13% è strettamente collegato a casi di intolleranza connessi al tema dell’immigrazione e all’accoglienza dei rifugiati. Fenomeni che delineano insieme, sempre nelle parole di Montà, «una drammatica sfida epocale che possiamo vincere se stiamo insieme e non lasciamo solo nessuno. Soprattutto gli amministratori locali». Secondo Federico Cafiero De Raho, Procuratore Nazionale Antimafia, sindaci ed amministratori Pubblici, «rappresentano un baluardo di legalità». Le intimidazioni tendono a produrre delle crepe nel sistema sociale e negli ordinamenti delle comunità, quale che sia il livello, minando il rapporto di rappresentanza. La risposta a questi fenomeni oltre che in termini di consapevolezza, dev’essere anche legata ad una «capacità di reazione» dello Stato. Ma i coni d’ombra generati da alcuni aspetti della legge sullo scioglimento dei Comuni, misto al caso in cui gli stessi Enti vengono raggiunti, a distanza di qualche anno, dal medesimo provvedimento, rendono difficile questa operazione e producono sempre più scoramento. Non a caso, ben 71 atti intimidatori – circa il 13% del totale – si sono verificati in 40 Comuni che, in un passato più o meno recente, sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa. Il 61% del totale dei casi censiti (342) si è registrato nel Mezzogiorno, in particolare il 42.6% dei casi nel Sud (percentuale stabile rispetto al 2018) e il 18.6% nelle Isole (in calo). Il restante 39% del totale (217 casi censiti) si è verificato nel Centro-Nord, dove si riscontra un aumento del 5.5% delle minacce e intimidazioni rispetto al 2018. Casi in crescita al Nord, con la Lombardia che guadagna il quinto posto nella particolare classifica che vede i primi quattro posti saldamente in mano alle regioni “storiche”. La regione più colpita si conferma per il terzo anno consecutivo la Campania dove sono 92 i casi censiti. Seguono a ruota la Puglia con 71 e la Sicilia con 66. Stabile sui livelli dell’anno precedente la Calabria, al quarto posto con 53 casi. Il picco delle minacce si raggiunge nel periodo di campagna elettorale e, come si legge nel rapporto, «in più di un’occasione le intimidazioni hanno indotto le vittime a rinunciare alla candidatura». Le figure più colpite sono i Sindaci, che vengono spesso intimiditi in maniera diretta. In linea generale, stando sempre ai numeri del 2019, le minacce dirette sono pari all’87% (aggressioni ed incendi le principali tipologie, anche se cresce la minaccia a mezzo social che si attesta al 15%). La restante percentuale si compone di quei casi in cui anziché la persona, vengono presi di mira gli uffici, le strutture degli Enti o anche collaboratori e parenti della vittima designata. Un dato particolare che emerge dal rapporto è la crescita delle minacce rivolte alle amministratrici, vittime di 92 intimidazioni complessive su tutto il territorio nazionale. Secondo il rapporto, quelli che emergono dalla Calabria sono dati contraddittori, soprattutto se parametrati al numero di casi registrati nelle singole province. Si va infatti dai 22 del Cosentino (terza provincia più colpita a livello nazionale dopo Napoli e Roma) ai “soli” 4 del Catanzarese. Quelli riscontrati nella provincia di Cosenza ammontano al 42% dei casi totali nella regione. Dato che non ha comunque contribuito a concentrare l’attenzione delle cronache su questo territorio e sulle attività delle sue ‘ndrine non meno sanguinarie di altre. Qui troviamo i Muto, attivi a Cetraro, i Lanzino-Patitucci, Perna-Cicero, Abbruzzese e Rango-Zingari presenti nel capoluogo che, secondo la Direzione Investigativa Antimafia, sono «sodalizi che per la conduzione delle progettualità criminali ricorrono anche ad azioni collusive con soggetti istituzionali». Va inoltre sottolineato che a fronte di un costante calo dei casi censiti, restano elevati i numeri degli scioglimenti per infiltrazioni mafiose degli Enti locali (8 nel 2019 dopo gli 11 del 2018). Il rapporto ricostruisce alcuni degli esempi più eclatanti registrati nella provincia nel 2019, come l’aggressione al termine di una seduta del Consiglio comunale di Scalea al consigliere Renato Bruno o i roghi dolosi di automobili appartenenti a dipendenti comunali registrati a Paola e San Nicola Arcella, così come ad Amantea le fiamme hanno distrutto due auto di un ex consigliere regionale. A Corigliano Rossano ripetuti atti intimidatori – gomme squarciate – al candidato sindaco Stasi. A Cetraro l’automobile di Cinzia Antonuccio, coordinatrice del servizio di raccolta rifiuti del Comune, è stata incendiata nella notte. La sindaca di Lattarico Antonella Blandi ha ricevuto una busta con all’interno una lettera dal chiaro contenuto intimidatorio: «Se vuoi che i tuoi figli tornino a casa dall’asilo nido, fai lavorare chi non ha da mangiare». Dodici i casi censiti in provincia di Reggio Calabria. Tra questi si ricordano: l’intimidazione ai danni dell’assessore all’Agricoltura ed al Turismo del Comune di Oppido Mamertina, Antonio Corrone, con alcuni colpi di arma da fuoco contro la vetrata dello studio dell’amministratore. Incendiata a Roccella Jonica l’auto di Vincenzo Garuccio, amministratore di Jonica Multiservizi, società interamente pubblica che opera nella gestione dei servizi della città. Dall’inchiesta contro il clan Cordì sono inoltre emerse le intimidazioni nei confronti del Sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, in merito ad interessi dei clan sulle attività economiche afferenti al cimitero. Otto casi in provincia di Vibo Valentia. A Filandari doppio atto intimidatorio ai danni dell’assessore Giuseppe Antonio Artusa. A Parghelia è stata colpita l’autovettura dell’assessore alla Cultura, Gabriele Vallone. A Tropea è finito nel mirino un agente della Polizia locale: danneggiata l’auto di proprietà e inserito al suo interno un biglietto minatorio. Sette casi in provincia di Crotone. Una lunga scia di minacce ha visto protagonisti gli amministratori di Roccabernarda. Il primo è stato Francesco Coco, ex sindaco ed attualmente consigliere comunale di opposizione, già oggetto di intimidazioni nel 2018. Successivamente è finito sotto tiro il Sindaco Nicola Bilotta: una bottiglia incendiaria lasciata davanti alla sua abitazione e una busta con dentro due cartucce di fucile sul parabrezza della macchina. A Cirò Marina, l’auto di Paolo Lo Moro, segretario generale del Comune, gestito da una commissione straordinaria a causa dello scioglimento dell’Ente per infiltrazioni mafiose, è andata distrutta in seguito ad un incendio. Quattro intimidazioni registrate in provincia di Catanzaro. A Tiriolo è andata a fuoco l’auto dell’assessore allo Sport Domenico Paone. A questi dati vanno aggiunti quelli sullo scioglimento (e conseguente commissariamento) delle amministrazioni. La realtà calabrese racconta un tragico en plain per quanto riguarda le Aziende sanitarie provinciali commissariate, visti i provvedimenti che hanno colpito nell’ultimo anno anche quelle di Reggio Calabria e Catanzaro. Sempre nel 2019, a questi scioglimenti, vanno aggiunti quelli di 6 Comuni: Careri (sciolto una prima volta nel 2012), Palizzi, Stilo, Sinopoli (già sciolto nel 1997), Africo (giunto al terzo provvedimento dissolutorio, dopo quelli del 2003, successivamente annullato, e del 2014) e San Giorgio Morgeto. Nel biennio 2018-2019 si contano in tutto 19 Enti locali sciolti per infiltrazione mafiosa in regione. Ad oggi la Calabria si tiene saldo il suo record di regione col maggior numero di scioglimenti: 121 dal 1991 ad oggi. Una morsa letale in grado di influenzare e indirizzare tutti gli aspetti socio-economici del territorio così spiegata nell’ultimo report della Dia: «Le consorterie criminali calabresi sono abili nel creare seguito soprattutto fra quelle persone in cerca di riscatto sociale, le cui condizioni di vita li spingono a schierarsi, piuttosto che con lo Stato con la ‘ndrangheta che, invece, apparentemente, crea ricchezza, risolve i problemi e non abbandona i suoi adepti. La Istituzioni, a qualunque livello, ma anche la comunità intera devono avere ben chiara la portata del fenomeno, spogliandosi del negazionismo fin qui sostenuto ed acquisendo consapevolezza della presenza delle ‘ndrine ormai ovunque. Alla luce di tale consapevole espansione della ‘ndrangheta risulta necessaria una risposta decisa, a tutti i livelli, anche perché da diverso tempo si assiste ad una distorsione del meccanismo di percezione dei valori, non solo da parte dei giovani delle famiglie della ’ndrangheta, ma anche della società in generale».

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