Dopo le ultime disposizioni illustrate dal premier Conte e che saranno in vigore dal prossimo 4 maggio, l’attenzione attorno alla pandemia da coronavirus e al rischio contagio nel nostro Paese resta altissima. E ad illustrare quali e quanti sono i rischi nella nostra regione, ci ha pensato Giuseppe De Bartolo, professore di Demografia del Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza, all’Unical, il cui studio è stato pubblicato sul sito di OpenCalabria. Secondo l’analisi di De Bartolo, dunque, «la diffusione dell’epidemia in Calabria potrebbe essere 6 volte più elevata rispetto al valore che si osserva e addirittura in provincia di Catanzaro 12 volte rispetto a valore osservato. Questa evidenza consiglierebbe molta cautela riguardo ai tempi e ai modi di riduzione delle misure di confinamento e di chiusura che fino ad oggi hanno dato buoni risultati». «Solo per fare qualche esempio – si legge – ricordiamo che il numero dei contagiati forniti di volta in volta dalla Protezione civile riguarda soltanto i casi “conclamati”, cioè coloro che sono stati sottoposti a tampone; di conseguenza da questa conta mancano gli asintomatici e coloro che comunque non si rivolgono alle strutture pubbliche. Inoltre, anche le statistiche dei deceduti, che dovrebbero essere quelle più robuste, registrano soltanto i “tamponati” e non gli altri». «Quando tutto sarà finito, o quasi, – sostiene De Bartolo – è vero che sarà possibile calcolare un tasso di mortalità definitivo per mille abitanti per COVID-19, ma anche in questo caso si otterrà ancora una volta un valore sottostimato per le ragioni dette prima sui deceduti. Non solo, ma a quell’epoca, non sarà possibile conoscere nemmeno il reale tasso di letalità della malattia per l’impossibilità di avere contezza del numero effettivo dei contagiati». Secondo lo studio di De Bartolo, pur con questi limiti di misura, per avviare la fase due sarebbe, comunque, indispensabile una stima accettabile della diffusione reale del virus sul territorio, che però solo un campione rappresentativo della popolazione può fornire. Nelle more, anche se con molte cautele, un’idea della diffusione del virus può aversi in base al numero dei contagiati e dei decessi osservati, adottando un’ipotesi sulla letalità effettiva del virus che, come hanno evidenziano gli studi finora condotti, varierebbe, con forchette però abbastanza ampie, dal valore di 0,66% per il caso cinese, a 0,90% per il Regno Unito, a 1,14% stimato dall’ISPI per l’Italia per tener conto del maggiore livello di invecchiamento della popolazione italiana rispetto a quella inglese. Livelli che in ogni caso sono più vicini alla letalità dell’influenza stagionale (0,1%) che a quelli di una malattia similare al COVID-19 come la SARS o la MERS che, come sappiamo, hanno fatto registrare tassi di letalità molto più alti, rispettivamente del 9-10% e del 36%. Le considerazioni precedenti consentono una stima della diffusione del contagio se si tiene conto che il rapporto tra il tasso di letalità osservato (TLO) e quello effettivo (TLE) rappresenta il numero dei contagi “reali” per ciascuna unità di contagio osservato. I risultati di questo semplice calcolo, peraltro già utilizzato per l’Italia intera, ci restituisce un quadro che per la nostra regione è molto preoccupante (Tabella 1): la diffusione dell’epidemia in Calabria sarebbe sei volte più elevata rispetto al valore che si osserva e addirittura in provincia di Catanzaro dodici volte rispetto a valore osservato, anche se in questo caso i dati di riferimento riguardano anche soggetti provenienti da altre strutture e provincie. Queste evidenze consiglierebbero dunque molta cautela riguardo ai tempi e ai modi di riduzione delle misure di confinamento e di chiusura che fino ad oggi hanno dato buoni risultati.
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