La grave e triste emergenza Covid-19 che ha letteralmente piegato il nostro Paese e che, ciascuno nel proprio ruolo, stiamo tutti quotidianamente affrontando, al di là delle diverse analisi sulle responsabilità e sulle differenti soluzioni per governare la crisi in atto, pone l’intera nazione comunque di fronte ad una fotografia difficilmente contestabile: l’incapacità strutturale di un sistema sanitario nazionale (SSN) che, oltre ogni retorica, ha scontato e sta scontando sul campo decenni di scientifico e scellerato smantellamento della rete ospedaliera, in ossequio a valutazioni, calcoli e prospettive di risanamento economico smentite dai fatti. Non solo. Quanto drammaticamente registrato in una delle aree più ricche e progredite, lascia facilmente immaginare quanto più grave sarebbe potuto essere l’esito nella sciagurata ipotesi in cui non il ricco centro nord ma il disastrato Sud ed in particolare la Calabria fossero state zone rosse della pandemia. È quanto dichiara Filomena Greco (L’Alternativa – Cariati) per la quale la questione della riapertura dell’Ospedale Vittorio Cosentino di Cariati, scriteriatamente ed ingiustamente chiuso insieme ad altri 17 presidi ospedalieri calabresi in esecuzione di uno scellerato piano regionale di rientro della spesa sanitaria del 2010 va necessariamente affrontata, così come non è mai accaduto, nel quadro dell’ormai obbligatoria rimessa in discussione dell’esclusiva sostenibilità economico-finanziaria a fronte della garanzia di un diritto fondamentale come quello alla salute. Che – scandisce – nella provincia di Bergamo così come in quella di Cosenza non doveva e non può essere subordinato a soli criteri di tenuta dei bilanci. Se il bassissimo numero di decessi rispetto al totale dei contagiati in Germania è ascritto da molti osservatori internazionali anche al numero di posti letto di terapia intensiva per abitante non deve essere più una lotta contro i mulini al vento continuare a denunciare, così come nel nostro ed in tanti territori si fa da decenni, la distruzione progressiva e totale dei livelli essenziali di assistenza (LEA) attuata attraverso la soppressione assurda di ospedali perfettamente funzionanti e storici presidi salvavita per aree vaste, come tra gli altri quello di Cariati ed in cambio del nulla. Al pari, infatti,di quanto accaduto con gli ex ospedali di Roggiano, San Giovanni in Fiore, Acri, Mormanno, Trebisacce, Praia a Mare, Lungro, Soveria Mannelli, Serra San Bruno, Scilla, Oppido Mamertina, Palmi, Taurianova, Siderno, Chiaravalle, Soriano e San Marco Argentano, anche alla chiusura dell’Ospedale di Cariati, struttura progressivamente smantellata sulla base di errori pubblicamente ammessi dalle stesse classi politiche e di governo che ne furono inetti spettatori, non è seguita nei fatti alcuna delle promesse di rafforzamento delle altre strutture sanitarie esistenti esse stesse depotenziate ed intasate, senza considerare la fantomatiche realizzazioni di nuovi ospedali, come quello della Sibaritide. Se, quindi, le conseguenze nefaste dell’emergenza Coronavirus hanno svelato ormai nella loro drammaticità i danni causati alle sanità territoriali da tutti i governi di sinistra e di destra che per decenni hanno trattato la questione ospedali locali, segnatamente in Calabria, come cavallo di battaglia elettorale, si è oggi ad un inesorabile punto di non ritorno: sia per ripensare, post emergenza, lo stesso sistema sanitario nazionale; sia per chiedere adesso che la classe politica ed istituzionale si esprima definitivamente con un sì o con un no rispetto alla riapertura degli ospedali chiusi. Territorio per territorio, senza ipocrisie né tatticismi di nessuna natura. È soltanto questa la sola battaglia unitaria che vuole e che porterà avanti tutto il territorio del basso jonio cosentino per la riapertura urgente dell’Ospedale pubblico, nella consapevolezza che non è più accettabile assistere, a causa della periodica strumentalizzazione politica del diritto alla salute messa in campo spesso dagli stessi distruttori della sanità locale, ad un’assurda guerra fratricida tra cittadini, privati della possibilità di curarsi e trattati come continua carne da macello per la sopravvivenza di interessi e carriere personali e familiari. |