La nostra epoca è riuscita, come mai prima, a mostrare il suo sapere intorno all’uomo, purtuttavia non ha saputo spiegare cosa sia l’uomo, il mistero della persona umana, la vita, la morte, le domande intorno all’uomo e sull’uomo. L’emergenza che stiamo vivendo ci ha portato verso una nuova solitudine costretti a fare i conti con una visione della vita, dove si è preso coscienza – in modo a dir poco brutale – di non essere immortali, assistendo, così, alla fine di un’epoca dell’eccesso. È proprio in un momento come quello attuale in cui la vita e la salute di ciascuno è in serio pericolo, ci si incammina verso una riflessione – per la prima volta dopo tanto tempo – profonda sulla perdita dei valori, con la conseguente depurazione dal sovraccarico di superficialità che ha caratterizzato questo secolo. Non possiamo dimenticare che il novecento si chiude lasciando al nuovo secolo un patrimonio di conoscenze mai prodotte prima. Ma, il novecento è anche il secolo in cui la tecnologia ha rivelato tutto il suo potenziale di trasformazione, la sua modalità di esistenza è essenzialmente l’innovazione, che diviene poi veicolo di innovazione sociale, culturale e intellettuale. Senza voler formulare alcun giudizio di valore sulle innovazioni ed i cambiamenti in atto,-soprattutto alla luce dell’emergenza Covid-19,- che si riversano sull’intera umanità, è possibile affermare che il ritmo dei cambiamenti, particolarmente rapido, sembrano svolgere in tale processo un ruolo chiave. La conoscenza e le tecniche, ma anche il modus pensandi, i rapporti sociali ed i metodi di organizzazione del lavoro si sono evoluti con un ritmo costante e sostenuto, smart working, didattica a distanza, lavoro agile, distanziamento sociale, hanno aperto nuovi scenari sconosciuti fino allo scoppio dell’emergenza che stiamo vivendo, destinati a superare l’orizzonte temporale incerto che ci separa dalla scoperta del vaccino in grado di silenziare il nostro “nemico invisibile”. La vita, l’integrità fisica, la dignità dell’essere umano, devono essere ritenuti beni da realizzare e salvaguardare con ogni sforzo, in quanto considerati precondizioni irrinunciabili al godimento di altri valori. Al contempo, non va dimenticato che il primo imperativo etico dell’uomo verso se stesso e verso gli altri è il rispetto, la difesa e la promozione della vita, in quanto diritto previo rispetto alla libertà. Questo può trovare giustificazione nel fatto che, per poter essere liberi bisogna essere vivi, e per questo la vita diviene elemento necessario per esercitare la libertà. Nel contesto attuale, siffatta libertà, è necessaria soprattutto nella società del benessere, nel momento in cui il benessere economico ha sostituito il valore della persona, e in cui c’è posto nella maggior parte dei casi per il rispetto della vita, della famiglia solo in funzione del benessere stesso. Non vi è dubbio che siamo di fronte a temi complessi, che toccano in profondità l’animo umano, costringendoci a ripensare con radicalità ai valori sui quali si fonda l’esistenza. In un mondo che muta profondamente, sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche, il destino dell’essere umano sembra naufragare nella mutevole insicurezza della virtualità dei rapporti. La nostra epoca ha senza dubbio, subìto una profonda trasformazione dal lavoro alla politica, alla società. Non ci sono certezze, solo continue trasformazioni, tutto viene e va molto velocemente, dagli ideali, agli oggetti, tutto sembra avere una data di scadenza, passando da una società di produttori a una società di consumatori. Siamo di fronte a una società di “consumatori difettosi”. Le paure che lacerano la società contemporanea nascono dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti. Dalla paura dell’immigrato a quella dell’inadeguatezza, cioè la paura di non poter mostrare sempre la forma migliore e più alla moda, in un mondo continuamente cangiante, dove valori imprescindibili quali la vita in primis perdono significato, ed il mondo, finisce con il divenire l’oggetto della volontà dell’uomo, che, pertanto, non può che essere, volontà di potenza. L’azione umana, nel contesto della civiltà tecnologica, ha una portata immediatamente universale e, quindi, il suo mutamento quantitativo porta, in realtà ad un mutamento qualitativo dell’azione, che ha per oggetto il mondo intero nella sua globalità ed in primo luogo la permanenza della vita umana sulla terra. La libertà individuale estrema e il principio del piacere dominante, inducono gli uomini a cercare sensazioni sempre diverse e sempre nuove esperienze. L’effimero trionfa sul duraturo, la prospettiva dell’istantaneità su quella dell’eternità. Conservare a lungo qualcosa è segno di privazione, cambiarla, aggiornarla, sostituirla, rinnovarla, è invece segno di ricchezza. Da ciò, emerge la necessità di tornare a ripensare un’etica della responsabilità, una “responsabilità per l’esistenza”, nel senso che ha la responsabilità verso se stesso e verso chi non c’è ancora, ma ci sarà un giorno. Si tratta, in altre parole, di una responsabilità che comprende «l’universo esteso a tutti gli esseri umani, presenti, ma anche passati o futuri». È la responsabilità del «prendersi cura», simile a quella che hanno i genitori verso i propri figli o a quella dell’uomo di Stato che sa che una forma di governo responsabile, fa sì che la politica possa continuare anche in futuro. Ecco allora, che occorre reinvestire di senso etico l’agire umano, in tal senso il futuro dell’umanità deve costituire il primo dovere dell’intera collettività.
Aquilina Sergio, Responsabile Commissione Biogiuridica MpV Corigliano-Rossano
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