Una recente spedizione di Fame di Sud lungo la costa dell’Alto Jonio cosentino ci ha portati alla scoperta di una delle più belle residenze dell’800 meridionale, il Castello Ducale di Corigliano Calabro, appartenuto fino al 1971 alla famiglia dei baroni Compagna. Lo si vede svettare in cima al colle cosiddetto “del Serratore” sul quale si è sviluppato nei secoli l’abitato di Corigliano. Alla base del colle il letto pietroso del torrente Coriglianeto costeggia un vasto giardino di agrumi che corre per centinaia di metri in direzione della costa protetto da un muro a pietre vive che ne segue il limite in tutta la sua lunghezza. Alcuni resti in laterizio di antichi opifici, suggestive tracce d’archeologia industriale, fanno mostra di sé accanto alla quattrocentesca Chiesa del Carmine annessa al convento dei Carmelitani: uno straordinario scorcio paesaggistico che fonde natura, cultura e attività dell’uomo ma che è ancora lì ad attendere l’attuazione di un progetto di riqualificazione e valorizzazione che tarda a trovare compimento. In realtà l’intero centro storico di Corigliano avrebbe enormi potenzialità di attrazione – straordinario il patrimonio urbanistico di antichi palazzi, chiese e spettacolari punti panoramici da cui la vista spazia verso la catena del Pollino e il mare del Golfo di Taranto – se solo qualche amministratore illuminato decidesse di intraprendere una vera e propria guerra all’incuria che attanaglia la cittadina. Ci arrampichiamo su per il colle attraverso la strada sovrastata dalle arcate sovrapposte in mattoni appartenenti al Ponte Canale, edificato nel 1480 per l’acquedotto, secondo la tradizione su impulso di san Francesco di Paola. Poche centinaia di metri e raggiungiamo il Castello, splendida realtà museale gestita da una locale cooperativa di giovani. La sua storia è molto antica e precede di diversi secoli l’avvento degli ultimi proprietari, risalendo il suo nucleo primitivo all’XI secolo. La sua origine è legata alla figura del re normanno Roberto il Guiscardo (Roberto d’Altavilla) vissuto fra il 1025 e il 1085. Infatti il primo signore del castello di Corigliano fu Framundo, un vassallo del Guiscardo proveniente da L’Oudon (Francia). In origine la fortezza era costituita solo dall’attuale torre mastio, molto tempo dopo incorporata in un impianto architettonico più ampio e complesso, passato di mano in mano fra varie famiglie aristocratiche, ciascuna delle quali apportò il proprio contributo di modifiche e miglioramenti. Inizialmente abitarono il castello i Sanseverino, famiglia destinata a diventare una delle più potenti del Regno di Napoli. A seguito della cosiddetta Congiura dei Baroni, ordita nel 1485 contro il re Ferdinando I D’Aragona, il castello fu confiscato ai proprietari. In questo periodo subì altre modifiche e nel 1495 tornò ai Sanseverino solo dopo la conquista del Regno di Napoli da parte del re francese Carlo VIII. Nel 1616, il feudo venne posto in vendita per sanare gli ingenti debiti della famiglia. Lo acquistarono i mercanti genovesi Saluzzo, che ne trasformarono e migliorarono radicalmente l’aspetto. Ad essi si deve l’aggiunta della cappella di S. Agostino. Con l’abolizione della feudalità imposta dal governo francese i Saluzzo persero potere e nel 1822 si videro costretti a cedere tutte le loro proprietà a Giuseppe Compagna (1780-1834), un uomo d’affari nato a Corigliano ma originario di Longobucco, il cui figlio Luigi (1828-1880) vi apportò le ultime, definitive, modifiche. Nel dicembre del 1891, fu ospite del barone Francesco Compagna il futuro re Vittorio Emanuele III di Savoia, allora Principe di Napoli, occasione nella quale fu ricavato nella torre sud-ovest, tra il Piano Nobile e le Prigioni, il bagno successivamente definito “del Barone”, mentre nel maggio del 1932 giunsero al Castello per una breve visita il futuro re d’Italia Umberto di Savoia – all’epoca anch’egli Principe di Napoli – e la sua consorte Maria José. Rimasto ai Compagna fino al 1971, anno in cui gli ultimi discendenti del casato si sono trasferiti a Napoli, il Castello venne poi venduto alla Mensa Arcivescovile di Rossano e nel 1979 è passato al Comune che nel 2002 lo ha finalmente riconsegnato alla pubblica fruizione dopo un lungo restauro. Oggi il castello è un monumento nazionale, un museo storico artistico culturale dell’intera comunità. Le ultime modifiche fatte apportare al maniero da Luigi Compagna furono diverse e riguardarono sia l’interno che l’esterno. Oggi il castello è preceduto da una piazzetta su cui campeggia un pilastro con il busto di Guido Compagna, uno degli ultimi discendenti dei proprietari, mentre l’accesso principale è costituito dal monumentale portale in stile neogotico che introduce ad un breve viale costeggiante l’antico fossato, a suo tempo trasformato dai Compagna in orto botanico e spazio per l’allevamento di animali esotici. Un massiccio portone in ghisa preceduto da ponte levatoio introduce invece al pianterreno del castello da cui si diparte lo scalone che raggiunge il piano superiore, prima tappa del percorso di visita oltre che spazio utilizzato per mostre pittoriche, fotografiche, convegni e vari altri tipi di manifestazioni. IL MASTIO La Torre di Roberto il Guiscardo, incastonata come mastio nell’angolo Nord del fortilizio, si trova, entrando, a sinistra del ponte levatoio. È alta una trentina di metri dal piano strada alla cima della torretta ottagonale che la sovrasta. Nel 1870 una scala a chiocciola in ghisa, realizzata in loco da maestranze napoletane e composta da 134 gradini, ha preso il posto di quella tufacea imponendosi quale una delle più grandi opere europee in tale tipo di metallo; essa permette la salita attraverso i vari ambienti fino alla torretta ottogonale fatta sovrapporre da Agostino II Saluzzo alla struttura più antica. Con il restauro messo in atto nel XIX secolo dai Compagna le pareti interne vennero decorate dal pittore fiorentino Girolamo Varni. Al primo piano, considerando tale quello a livello della Piazza d’Armi e del piano nobile, si può ammirare – subito dopo un primo livello a motivi geometrici – una serie di affreschi ispirati alle crociate, mentre al sovrastante piano campeggiano affreschi che rappresentano scene della cristianità, della storia romana, e immagini di carattere araldico. Del Varni erano anche le decorazioni di alcuni ambienti interni del Castello ormai andati perduti, come la sala di Apollo, la sala di Venere, la sala Rossa, la sala Cinese, la sala degli Stemmi o sala verde. I SOTTERRANEI E LA CUCINA OTTOCENTESCA I Sotterranei rappresentano ciò che rimane della primitiva fortezza. Vi si può accedere da più parti: un accesso si trova a destra subito dopo aver superato l’entrata alla fine del ponte levatoio. Sono visibili una prigione, le vasche di raccolta dell’acqua piovana e la grande cucina ottocentesca, un ambiente voltato con annesse sale per la lavorazione e la conservazione dei cibi. Essa conserva ancora tutto l’apparato di strumenti necessari a garantire il servizio gastronomico (spicca il numeroso pentolame in rame, proveniente da Montmatre, in Francia), compresa una zangola in vetro per la produzione del burro, a testimonianza dell’uso in cucina, anche nel sud Italia, di questo alimento solitamente ritenuto esclusivamente nordico. La cucina, in ghisa, fu commissionata dal barone Compagna a Raffaele Von Arx, specializzato nella produzione di forni e realizzazione di macchine per lavorare la liquirizia. Sulle pareti campeggia anche una griglia con cappa, due forni, stufe, un montacarichi che consentiva di portare i cibi direttamente nella sala da pranzo, e poi ancora formine per la preparazione dei dolci, mortai e stadere. Collegata alla cucina è la Sala dei Trofei di Caccia, un ambiente adornato da foto di battute di caccia (memorabili quelle al cinghiale e al cervo) con il barone Compagna e nobili del tempo suoi ospiti che qui portavano la selvaggina fornendo suggerimenti ai cuochi per la preparazione dei piatti. Attraverso due lunghi e stretti corridoi ricurvi si arriva all’ambiente che nel ‘500 fu la Santa Barbara, ossia il deposito di munizioni da usare in caso di attacco al castello, che dal 1800 ospita invece due forni usati per riscaldare il castello e basati su un sofisticato sistema che attraverso apposite condutture a pavimento consentiva di immettere in tutte le sale aria calda d’inverno e fresca d’estate. IL SALONE DEGLI SPECCHI Richiami allo stile impero e al barocco veneziano contrassegnano il Salone degli Specchi (già Sala del Trono) facendo di questo ambiente uno dei più sontuosi del castello. Vi dominano il bianco e l’oro d’una schiera di putti e giovani festosi che prendono corpo negli stucchi della cornice che delimita in alto le pareti del Salone, tra sfarzosi broccati a trama d’oro che scendono lasciando scoprire grandi e meravigliosi specchi di Venezia a tutta parete che riflettono i superbi ed eleganti lampadari di cristallo di Boemia pendenti dal soffitto. Cornici di stucco dorato sulle pareti e sulle porte, morbidi divani ricoperti di raso su tutti i lati della sala, completano uno sfarzo che raggiunge l’apoteosi nell’incantevole “Palcoscenico della Vita”, una balaustrata sotto il cielo stellato del soffitto, la cui realizzazione fu commissionata intorno al 1870 da Luigi Compagna ad Ignazio Perricci che la eseguì con la tecnica del “trompe-l’oeil”. Lungo la balaustra si intravedono affacciati numerosi popolani in costume d’epoca che ammirano lo sfarzo sottostante, degno di una festosa favola. Successivamente il Perricci avrebbe decorato anche il Salone degli Specchi del Quirinale. LA SALA DA PRANZO Situata sul lato Est del castello, la sala risulta oggi purtroppo privata degli affreschi ottocenteschi a suo tempo eseguiti dall’artista pugliese Ignazio Perricci da Monopoli sulle pareti e sul soffitto nonché dei pregevoli arredi, degli specchi e dei divani, per cui oggi risulta più spoglia che nel passato. Al centro della sala, la tavola elegantemente imbandita con ceramiche e porcellane d’epoca. Dal soffitto a volte lunettate scende un lampadario in ferro battuto, mentre sulle pareti campeggiano due tele seicentesche di autore ignoto “L’arrivo di Erminia fra i pastori” ed “Erminia tra i pastori”. Elegantissimo e di eccellente fattura il caminetto con putti in marmo di Carrara scolpito da Francesco Jerace, scultore calabrese celebre a Napoli, e riecheggiante lo stile barocco. Contribuiscono a ricreare l’atmosfera del tempo anche le statue di San Sebastiano e San Francesco in legno, un volume in pergamena di canti gregoriani e una finta porta, dietro la quale c’era un montacarichi collegato con la cucine nei sotterranei ed usato per il trasporto delle vivande su nella sala. CAMERA DA LETTO DEL BARONE Già nota con il nome di Sala degli Stemm1i per la presenza, un tempo, di numerose decorazioni a tema arldico, la stanza conserva oggi un grande letto decorato a foglia d’oro e due armadi in legno intarsiato. Presenti anche due pregiati paliotti in marmo policromo e madreperla provenienti dall’Abbazia del Patirion (Rossano), un camino in legno di noce finemente intagliato e decorato e la grande tela seicentesca dell’Ascensione di Cristo realizzata da Giovan Battista Gaulli detto il “Baciccio”. SALOTTO Quello che oggi è il Salotto era noto nell’800 come “Sala di Apollo” per via dei perduti affreschi del Varni che decoravano il soffitto. Fra gli arredi un elegante tavolo rotondo di pregiata fattura, alcuni divani decorati in madreperla e due armadi in legno chiaro intagliati finemente. Sulla parete una splendida tela del 600 attribuita alla scuola napoletana di Luca Giordano raffigura San Gerolamo Penitente. CAMERA DA LETTO DELLA BARONESSA In origine portava il nome di “Sala di Venere” per via degli affreschi del Varni sul soffitto, purtroppo andati perduti. Vi compaiono un grande letto a baldacchino in ferro battuto ricoperto da tendaggi, una toeletta, l’armadio e grandi specchiere decorate in madreperla che riprendono lo stile austero ed elegante tipico dell’800. STUDIO DEL BARONE Numerose stampe d’epoca, tra cui quelle del Saint-Non (1779), raffiguranti Corigliano e la Piana di Sibari, e poi una scrivania, libri, quadri ed oggetti appartenuti alla famiglia Compagna, fra cui i due ritratti di Giuseppe Compagna e Isabella Cavalcanti, fanno mostra di sè in questa sala che ricompone la Biblioteca/Studio del Barone, espressione dei suoi interessi culturali e della sua vivacità intellettuale. La grande passione del Barone Compagna per la caccia è invece testimoniata da una testa di cervo e da un attestato di partecipazione a un torneo storico svoltosi a Roma nell’Aprile del 1893. SALA CINESE Il nome originario di questa sala si ispirava ad alcune carte dipinte presenti alle pareti e testimonianza di un gusto per le raffinate cineserie tipico di fine Ottocento. Oggi è conosciuta anche come Sala della Musica e conserva alcuni armadi finemente intagliati, un grande specchio a cornice d’oro e una specchiera-consolle su cui è poggiato un grammofono. Nel 1891 funse da camera da letto per il Principe di Napoli , futuro re Vittorio Emanuele III, in visita a Corigliano. SALE DI RAPPRESENTANZA Dette nell’800 “Sale Rosse” per via del colore del damasco che ricopriva le pareti, oggi queste sale conservano dell’antico splendore soltanto un ricco soffitto a cassettoni dipinto a motivi geometrici e floreali e alcuni grandi specchi veneziani del XVIII sec. CORRIDOIO DELLE ARMI Realizzato alla seconda metà dell’Ottocento per accedere direttamente nel Salone degli Specchi e in altre sale, presenta sul soffitto volte lunettate e al centro un lampadario in ferro battuto risalente alla fine del XVIII sec. Sul pavimento, sotto un cristallo, si nota la scala che nel ‘500 usavano i soldati per raggiungere il Piazzale delle Armi. Alle pareti una raccolta di fucili napoleonici e due tele ottocentesche del pittore Raffaele Aloisio raffiguranti “La presentazione di Gesù al Tempio” e “L’adorazione dei Magi” provenienti dal Santuario di Santa Maria ad Nives di Schiavonea. LA CAPPELLA DI SANT’AGOSTINO Il busto di Sant’Agostino posto in una nicchia sulla porta d’ingresso introduce alla omonima cappella del Castello. Questa, voluto da Agostino Saluzzo e inglobata nella Torre ad Ovest, è di forma ottagonale, simile anche nelle proporzioni al Santuario della Madonna bruna di Schiavonea . Sulle pareti interne della cupola, si possono ammirare gli affreschi con scene dell’Antico Testamento voluti da Luigi Compagna e realizzati da Girolamo Varni, ritornati alla luce dopo l’asportazione della pittura rosa che li copriva. La tradizione vuole che questa copertura degli affreschi risalisse a quando sull’altare fu posta il trittico di Domenico Morelli (1826-1901) con al centro la Madonna delle rose con bambino e ai lati Sant’Antonio Abate e Sant’Agostino. Lo scopo era evitare che venisse distratto l’occhio intento a purificarsi davanti alla profondo significato di quella scena dove umiltà terrena e grandezza divina si fondono evocando al massimo grado spirito religioso e senso dell’ascesi. PRINCIPALI OPERE D’ARTE PRESENTI NEL CASTELLO Le diverse opere d’arte esposte nelle sale del castello di Corigliano denotano gli interessi culturali del barone Luigi Compagna che oggi trovano la loro ideale prosecuzione nelle numerose iniziative del Museo. Le sale del Castello, riccamente decorate da artisti celebri nella loro epoca, sono infatti arricchite dalla collezione di dipinti del barone. In particolare nelle sale del castello figurano sei dipinti di grande formato relativi a contesti artistici di grande rilievo: a partire dal seicentesco San Girolamo, di grande formato, in cui il Santo è rappresentato nella consueta iconografia dell’eremita nella grotta, con il crocifisso e il teschio, simboli di penitenza, il cappello cardinalizio, il libro ed il leone in basso a destra, dipinto attribuito alla scuola napoletana di Luca Giordano; compare poi una ottocentesca Adorazione dei Magi attribuita al pittore aiellese Raffaele Aloisio in cui è presente la firma monogrammata dell’artista; ancora una seicentesca Ascensione che raffigura, in basso, la concitazione degli apostoli mentre assistono al miracolo e, nella parte alta della tela, il Cristo in bianche vesti è circondato da una luce dorata, opera attribuita al maestro genovese Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio; si torna all’Ottocento con una Presentazione al Tempio e, infine, con due dipinti di grande formato relativi al ciclo iconografico di ispirazione tassesca: Erminia tra i pastori, soggetto ispirato alla Gerusalemme Liberata (Canto VII,1-22), in cui è raffigurato il momento dell’incontro tra Erminia, in armatura con i lunghi capelli biondi, ed un vecchio con tre fanciulli e Il riposo di Erminia. Concludono la collezione esposta nel Castello di Corigliano lo splendido trittico della Madonna delle Rose realizzato da Domenico Morelli probabilmente su commissione dello stesso barone Luigi Compagna il quale commissionò anche le decorazioni del salone degli Specchi, affidate all’artista pugliese Ignazio Perricci da Monopoli e strettamente connesse alla temperie artistica napoletana della metà dell’Ottocento che, tramite gli artisti della locale Accademia di Belle Arti ebbe un’eccezionale diffusione anche in Calabria. |