In questi giorni non semplici andiamo vivendo l’esperienza della reclusione. Una reclusione non voluta, non desiderata, ma che stiamo affrontando con responsabilità, giorno dopo giorno, sperimentando la fatica di spazi angusti e di relazioni che spesso ci mancano o ci saturano. Le difficoltà che incontriamo ci aiutano a capire meglio l’esperienza, fisica ed emotiva, di quanti vivono all’interno delle case di reclusione, non per pochi mesi ma per molti anni. Proprio loro, in questo periodo difficile per tutti, si sono resi protagonisti di un piccolo segno di vicinanza e di solidarietà: una carezza. Non è la prima volta. È da diverso tempo che i nostri fratelli reclusi, qui a Corigliano Rossano, si stanno dimostrando attenti nei confronti di coloro che all’interno della società sono vittime di bisogni e necessità. È di qualche giorno fa il dono che hanno fatto di una fornitura di presidi sanitari all’Ospedale “N. Giannettasio”, necessari agli operatori del settore, sostenendo la loro azione lavorativa nell’emergenza. Riconvertendo il dono pasquale, ricevuto dalla Diocesi, in mascherine, calzari e visiera, i nostri fratelli reclusi ci hanno dato testimonianza di carità e vicinanza umana. Nella giornata di Pasquetta, d’intesa con il Direttore del reclusorio di Corigliano Rossano e il Comandante della polizia penitenziaria, nel rispetto delle prescrizioni emanate dal Governo, ho fatto visita in carcere ai nostri fratelli reclusi, incontrandoli a piccoli gruppi nelle varie zone di ricreazione poste all’esterno dell’edificio. Nel breve momento di preghiera vissuto, e condiviso insieme ad alcuni agenti della polizia penitenziaria, ho apprezzato la compostezza, la vicinanza ma anche la trepidazione che essi vivono a causa della pandemia. In questo tempo, i piccoli segni assumono grande spessore, soprattutto se arrivano dai piccoli della storia. Sono loro a insegnarci il valore di gesti semplici che hanno il sapore del poco ma che riempiono il cuore, perché ricchi di quella dignità umana che noi, “società civile”, abbiamo spesso dimenticato. Ieri, nel visitare il carcere, ho fatto esperienza di sguardi come carezze e di voci pacate e preoccupate, ma ricche di comprensione e pazienza. Uscendo da lì ho avvertito il bisogno di farmi “voce” per loro, per interrogare la mia, la nostra coscienza di uomini civili, i nostri governanti regionali e nazionali, per cercare risposte vere da dare al problema del sovraffollamento delle carceri e del sottodimensionamento dell’organico di polizia penitenziaria, uomini e donne costretti a lavorare tra mille problemi e con grandi rischi e sacrifici. Se pena ci deve essere, non bisogna, però, togliere dignità a nessuno. Una società che si rispetti non può non farsi carico di un problema di umanità. La carezza che i carcerati hanno posto in essere verso il nosocomio rossanese siano un segno di forte provocazione per le nostre coscienze, spesso addormentate, e ci scuotano a vivere un tempo di rinascita, di risurrezione dai nostri sordi egoismi sociali per costruire percorsi più civili per tutti.
Giuseppe Satriano Arcivescovo
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