Ho accolto senza sorpresa alcuna la sentenza di condanna di primo grado per il reato di truffa emessa nei miei confronti, nella giornata odierna, dal Tribunale di Castrovillari. Sentenza che si rispetta, com’è giusto che sia, ma non si condivide affatto. Sentenza che verrà prontamente impugnata dinanzi alla Corte d’Appello, com’è anche giusto questo che sia. Senza sorpresa alcuna, si diceva, perché tale sentenza altro non è che il naturale epilogo di una vicenda giudiziaria iniziata male e proseguita peggio, priva di alcuna accurata indagine preliminare da parte dei competenti organi inquirenti. Il tutto nasce da un esposto-denuncia presentato dallo scrivente in data 7 giugno 2010, corredato da una corposa documentazione afferente ricevute firmate dallo stesso nonché da fotocopie di documenti d’identità di persone coinvolte in un progetto di formazione, rivelatosi poi un raggiro ideato e messo in piedi, in realtà, da terze persone, nominativamente indicate nel suddetto atto. Nella documentazione fornita agli inquirenti sono stati anche immediatamente consegnati con precisione i dati riguardanti l’emissione, da parte dello scrivente, di n. 14 assegni bancari incassati da terze persone e il numero di una carta postepay sulla quale sono stati effettuati dei versamenti di denaro, anch’essi riscossi da altra persona. Negli anni successivi, come si evince facilmente consultando il fascicolo inerente tale vicenda, non è stata esplicata alcuna attività d’indagine in merito, né rintracciando né ascoltando le persone chiamate in causa dallo scrivente. Emblematica, a tal proposito, risulta essere la motivazione riferita durante il dibattimento da un rappresentante delle forze dell’ordine, qualificatosi come “unico titolare delle indagini”, il quale ha affermato che si è visto impedito dal fare tali accertamenti ed indagini a seguito del sorgere di problemi di carattere familiare. Ciò ha paradossalmente determinato, dal 2010 e per gli anni successivi, il blocco, anzi il mai avvenuto inizio, di ogni utile attività tesa a fare finalmente chiarezza sull’accaduto, sul coinvolgimento e sulle reali responsabilità di terze persone che da questa vicenda ne hanno tratto profitto, nonché sull’assoluta innocenza e buona fede che ha sempre ispirato lo scrivente, purtroppo tratto in inganno per eccessivo slancio di fiducia riposta in altri soggetti nominativamente indicati. Fatto ancor più grave è costituito dall’assenza totale di controlli, verifiche, interrogatori di persone che risultano aver riscosso, presso sportelli bancari, gli assegni emessi dallo scrivente, e quindi unici beneficiari di tali somme oggi mancanti. Gli organi inquirenti, dal giugno 2010 ad oggi, non hanno mai ascoltato tali persone né chiesto loro a che titolo hanno incassato i suddetti assegni. Atteggiamento inaccettabile, poiché tale vicenda è incentrata proprio su dette somme di denaro mai restituite ai legittimi titolari. Simile comportamento è stato perpetrato anche in sede di discussione della causa presso il Tribunale di Castrovillari che ha emesso questa mattina la sentenza di condanna di primo grado in oggetto. Un dibattimento che ha registrato un atteggiamento ostile e pregiudizievole nei confronti dello scrivente, tanto da impedire anche di ascoltare alcuni testimoni della difesa, pur di pervenire alla designazione sic et simpliciter di un colpevole. Lo scrivente, tuttavia, durante l’iter processuale, ha comunque chiesto di farsi ascoltare, e in questa occasione ha fatto presente e ricostruito l’intera vicenda con dovizia di particolari, ponendo alTresì l’attenzione sui tanti “vuoti” d’indagine afferenti il coinvolgimento e il vantaggio economico indebitamente percepito da altre persone nominativamente indicate nonché riscontrabili nella documentazione bancaria sopra menzionata. Purtroppo, si è voluto proseguire senza entrare nel merito, soffermandosi esclusivamente sul ruolo esercitato inconsapevolmente dallo scrivente, che da tale vicenda non solo non ha tratto alcun beneficio ma ha addirittura registrato un abnorme danno di carattere economico, sociale, morale, psicologico e fisico. Lo scrivente (assistito dal difensore di fiducia, avvocato Antonietta Pizza, che si ringrazia molto per la diligenza profusa e la vicinanza umana prim’ancora che professionale ), convinto delle proprie ragioni e della necessità di far emergere la reale verità dei fatti, continuerà a percorrere con animo imperterrito e sempre più determinato l’iter nelle competenti sedi di giudizio che la legge prevede, promuovendo ricorso presso la Corte d’Appello di Catanzaro.
Fabio Pistoia |