Esistono molteplici buoni motivi (troppi per elencarli tutti in questa sede) per i quali è quantomeno doveroso votare NO all’imminente referendum. A mio avviso, 2 di questi risultano essere molto più che sufficienti a motivare un secco e deciso NO:
1) La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2014, ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale con la quale gli attuali parlamentari sono stati eletti. Il parlamento in carica è composto da deputati e senatori eletti con una legge dichiarata non conforme. Come mai, allora, tali parlamentari risultano sedere ancora nelle Camere? E’ presto detto: il principio fondamentale della “continuità dello Stato” e la fattispecie per cui “le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare” ha, necessariamente, post-datato gli effetti di tale sentenza alle prossime consultazioni elettorali. I parlamentari, eletti con una legge elettorale incostituzionale, debbono per forza di cose restare al loro posto in quanto, altrimenti, la mancata continuità dello Stato e la mancata capacità deliberativa delle stesse Camere causerebbero una paralisi totale per qualsiasi attività statale. E’ del tutto evidente, dunque, come il Parlamento non possa cessare di esistere. E’ altrettanto evidente, allora, come i compiti dell’attuale governo avrebbero dovuto consistere ragionevolmente ed essenzialmente nell’approvazione di una nuova legge elettorale, questa volta conforme ai dettami della Carta, e alla gestione dell’ordinario fino al voto. E, invece, tali parlamentari propongono un referendum per cambiare non uno, non due ma, addirittura, 47 articoli della Costituzione, stravolgendo un terzo dell’intera Carta. A prescindere dai contenuti del referendum stesso, comunque non condivisibili, non è assolutamente plausibile permettere ad un parlamento eletto con una legge elettorale anticostituzionale di cambiare 47 articoli di quella stessa Carta che ha sancito l’incostituzionalità dell’elezione proprio di chi vorrebbe cambiarla. Tale motivo è più che sufficiente, e assorbente di ogni altra motivazione, a votare NO a qualsiasi proposta di modifica.
2) E’ stato detto che il nuovo Senato produrrà risparmi per le casse statali per centinaia e centinaia di milioni di euro. In realtà, la Ragioneria Generale dello Stato, con una nota ufficiale dell’ottobre 2014, ha identificato risparmi per soli 57,7 milioni di euro, pari ad appena un decimo dell’intero costo del Senato (che ci costa oltre 540 milioni in totale). Per capire quanto sia irrisorio un risparmio del genere, basti pensare al totale della spesa pubblica statale italiana che, per il 2015, ha toccato la vetta di oltre 830 mila milioni di euro. Quanto costerà, invece, il referendum? Tra i rimborsi ai comuni, gli straordinari, il costo tra presidenti di commissioni e scrutinatori, il trasporto delle schede, i vari servizi di sicurezza, i rimborsi ai comitati promotori ecc. si supereranno i 300 milioni di euro, 6 volte tanto il “risparmio” previsto dalla riduzione dei senatori calcolato dalla Ragioneria. E’ del tutto evidente, allora, come le tesi sul risparmio non abbiano alcun senso. Tanto più che i nuovi senatori, essendo costantemente impegnati con regioni e comuni, finirebbero per riunirsi al Senato per pochissime volte in un mese, con un costo per seduta che schizzerebbe alle stelle. Se l’attuale governo avesse avuto davvero l’intenzione di risparmiare avrebbe potuto abolire definitivamente il Senato stesso o, in alternativa, mantenerlo tal quale dimezzando l’indennità parlamentare per entrambe le camere. In pratica, i cittadini dovrebbero rinunciare ad eleggere direttamente i propri senatori ed a ritrovarsi, al loro posto, consiglieri regionali e sindaci dotati di immunità parlamentare, e che si eleggono tra di loro, in cambio di un “risparmio” di 50 milioni di euro che il governo avrebbe potuto ampiamente recuperare in qualsiasi altro modo che non fosse togliendo il potere al popolo. Personalmente, non ho alcuna intenzione di delegare le assemblee regionali alla scelta dei senatori.
Referendum? NO, grazie. |