Tante persone non sanno nemmeno cosa sia la dialisi. E di questo sono felice! Sono felice per loro che non devono combattere ogni giorno, ogni ora, ogni momento con qualcosa che solo chi vive, paziente e familiari strettissimi, può comprendere. L’appuntamento fisso 3 volte a settimana, a giorni alterni, per almeno 4 ore (più varie ed eventuali) con l’ospedale, salvo complicazioni. E poi, i postumi dell’emodialisi, che ti limitano in qualsiasi gesto ordinario di vita. Dopo la seduta in ospedale, torni a casa devastato, non ce la fai nemmeno a parlare, a stento respiri e ti riesce solo di metterti a riposare, lontano da rumori e vocii. Perfino una passeggiata al mare diventa un’impresa. Poi il giorno dopo, quando non fai la dialisi, provi a condurre una vita “normale“… Lavori, mangi (poco, perché meno mangi e meglio è), fai le tue cose. Ma una vacanza, una gita, una scalata in montagna, non le puoi fare, perché, seppur a giorni alterni, la tua vita è legata ad una macchina. Dopo 8 lunghi anni di attesa, di speranze ormai affievolite al punto di rasentare la rassegnazione a questo tipo di vita, che ANZI ti permette comunque di restare ad abitare questo mondo, la notte tra il 2 e il 3 agosto 2016, dall’Annunziata di Cosenza, ci arriva “LA“ telefonata. Ci informano che c’è un donatore di 63 anni, compatibile con il mio papà, che – ironia della sorte - oggi ha la stessa età del donatore. Il fratello che non ha mai avuto. Emozioni e sensazioni positive e negative, discordanti. La nostra gioia è immensa e indescrivibile, ma contrasta con il dispiacere per la vita di quell’Uomo che non c’è più e che, di conseguenza, per il tramite della famiglia, ha deciso di fare il gesto più nobile che ci sia: DONARE. E permettere ad un’altra persona di provare a migliorare la qualità della sua vita. L’incredulità, la frenesia, lo stato di stordimento ti assalgono, insieme alla PAURA. La paura che la situazione possa cambiare, ma in peggio; in peggio perché quando si parla di mala sanità, la Calabria è spesso in prima linea tant’è che le esperienze negative di molti inducono, solitamente, il calabrese a preparare le valigie per provare a sentire le campane di luminari del Nord. Ma ritorniamo alla paura. Quando ti chiamano per un trapianto di rene, non hai molta scelta. Piuttosto, sai che c’è un’opportunità, forse unica, un miracolo, una manna dal cielo, e non ti resta altro che affidarti, si, alle preghiere, alle Madonne e a tutti i Santi, ma soprattutto, concretamente parlando, alle mani dei chirurghi e dell’equipe che - per ore e ore - si occuperanno di risolvere un problema: il TUO grande problema. Noi siamo stati fortunati. Il 3 agosto 2016 alle 18,35, l’equipe dei Dottori Vincenzo Pellegrino e Sebastiano Vaccarisi del Reparto di Chirurgia “Migliori” dell’Annunziata di Cosenza, ci ha preso per mano e ha risolto il nostro grande problema poiché, insieme, hanno eseguito magistralmente il trapianto di rene a mio padre. Li ho visti personalmente presenti in prima linea, proprio come nelle serie tv americane, dalle 8 di mattina del 3 agosto fino a notte inoltrata (era già 4 agosto) perché dovevano assicurarsi che il loro paziente, mio padre, stesse bene e che il decorso immediatamente post operatorio fosse regolare. Discretamente, mia madre, io e mia sorella, siamo rimaste nel corridoio, davanti alla sala operatoria, con le anime sofferenti e silenziose. Oltre alla professionalità dei Dottori Vincenzo Pellegrino (che, tra l’altro è di una simpatia senza eguali) e Sebastiano Vaccarisi (visibilmente più riservato ma comunque di una dolcezza infinita) devo rilevare un’inaspettata umanità e umiltà. Siamo state costantemente aggiornate sullo stato psicofisico di mio padre; siamo state tranquillizzate, hanno risposto alle nostre domande parlandoci in modo chiaro e semplice, proprio come dovrebbero fare tutti i medici con le persone che non parlano la lingua “medica“. Non da ultimo, sento di ringraziare la parte restante dell’orchestra, infermieri, anestesisti, ferristi, o.s.s., (sicuro non menzionerò tutti) senza i quali la musica non sarebbe stata così bella. La degenza è durata 22 giorni e, sebbene sia stata lunga, snervante e faticosa, fatta di alti e bassi, di momenti grigi, insieme a loro, anche questa parentesi si è conclusa positivamente e mio padre è tornato a casa, più forte e più felice di prima. Anche la ripresa non sarà una passeggiata in pianura, ma dopo 8 anni di calvario, siamo pronti a farla anche in salita. Mi auguro, dal più profondo del cuore, che la Calabria e il suo popolo onesto, inizino a sgomitare per far sapere a tutti che non siamo solo ‘ndrangheta e mala sanità, ANZI. Non credo che riusciremo mai a dimostrare la nostra riconoscenza ai dottori Pellegrino e Vaccarisi per averci regalato una nuova vita e all’Angelo che non c’è più il quale, con la sua immensa generosità d’animo, ci ha fatto questo impagabile regalo. |