Caro Giorgio, ho letto l’invito che mi hai rivolto e le motivazioni che lo sottendono. Da tempo non faccio più uscite pubbliche e ho riflettuto a lungo se dovessi risponderti o meno. Poi è prevalso il senso dell’educazione e del rispetto ed ho optato per la prima scelta, seguendo il tuo stesso canale. Anzitutto ti ringrazio per le considerazioni di stima che hai voluto esprimere verso la mia persona. Sono parole che, unitamente ad altri attestati, vanificano le gratuite maldicenze che, periodicamente, i soliti mediocri personaggi mettono in giro sul mio conto. Ma tant’è. La mia filosofia di vita è che le persone, soprattutto quelle che ricoprono incarichi pubblici, vanno giudicate sui comportamenti, sui fatti, sull’essere, sulla coerenza fra il dire e il fare, insomma su come agiscono e vivono. Mi chiedi di scendere in campo per e con la gente, per e con i tanti che subiscono angherie e ingiustizie, per riavvicinare i cittadini alla politica vera, per sconfiggere quel vento di qualunquismo che si annida in molti, per disegnare una città a misura d’uomo, per scrivere una diversa pagina di storia della nostra città, per ravvivare la speranza che ancora, se si vuole, si può. Ho alle spalle l’esperienza di dieci anni orsono. Dopo una campagna elettorale molto partecipata ed esaltante, mi sono ritrovato a dovere amministrare in un contesto molto difficile. Senza maggioranza, con i partiti (quelli che mi avevano appoggiato) che ostacolavano il percorso, con un’opposizione becera che erigeva barricate e che distribuiva volantini anonimi contenenti mendaci ingiurie anche verso la mia famiglia, con una emittente televisiva che trasudava odio e rancore, abbiamo cercato di lavorare in piena trasparenza e senza trasversalismi allora, come ora, molto di moda. Qualcosa abbiamo fatto negli undici mesi di amministrazione: una concreta lotta all’evasione, l’Ufficio circondariale marittimo elevato a Capitaneria di Porto con postazione di polizia e di dogana, manifestazioni culturali di discreto livello (una per tutte le Notti Bianche), i Finanziamenti intercettati, la messa in sicurezza di alcuni plessi scolastici, lo sblocco dei lavori di Palazzo Bianchi, l’adeguamento del Palazzetto dello sport ai parametri necessari per consentire alla squadra della volley di partecipare al massimo campionato di serie A1, la difesa dei ceti più deboli attraverso misure di sgravi sui tributi e la decurtazione del 30% delle indennità percepite dal sindaco e assessori (il sottoscritto negli ultimi mesi ha rinunciato all’intero emolumento) da destinare ai Servizi Sociali per far fronte ai bisogni delle classi meno abbienti, un’attenta verifica dello stato finanziario del Comune che non era, per come poi accaduto, al collasso. E poi, in poco tempo non ci si sarebbe riusciti nemmeno a farlo apposta. Tralascio il resto. E sull’ultimo punto vorrei dire all’esimio Prof., docente Unical, cell. …, emal …, che si è in malafede o nella completa ignoranza quando si afferma che avrei lasciato il Comune in dissesto non solo perché allora non lo era ma perché abbiamo operato con la massima parsimonia (cosa facilmente verificabile dalle delibere adottate con la spesa sempre coperta dal relativo impegno). Quando poi al suo consiglio che tu, Giorgio, dovresti riandare alle scuole elementari, mi è venuto tout-court in mente la parabola del Vangelo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti occupi della trave che è nel tuo occhio?” Tornando al tuo invito, anche io non riesco oggi a dare un’identità ai partiti che sono diventati, anche per convenienza, simili a vagoni di un treno o a delle porte girevoli da cui si sale e si scende, si entra e si esce a seconda del proprio tornaconto, o peggio, ancora considerati feudi personali e familiari. Io vengo da una scuola diversa, quella del Partito Comunista, quella di Berlinguer e ne vado sempre fiero e orgoglioso. Ho imparato tante cose, mi sono arricchito culturalmente e socialmente, ho maturato la convinzione di stare sempre dalla stessa parte e che libertà e dignità non possono essere soggette ad alcuna forma di baratto. Quindi, al di là di un fatto anagrafico che ha un peso non indifferente, al di là di un ricambio generazionale che ritengo necessario se non indispensabile, mi sento superato dai tempi e oserei dire “inadeguato”. Arriva il momento di dover e di sapere mettersi da parte.
Armando De Rosis |