Ogni catastrofe che mette a rischio le vite umane, richiede che l’autorità utilizzi poteri straordinari, giustificati dalla necessità e dall’urgenza di adottare misure idonee a contenerne gli effetti. Il normale assetto ed esercizio dei poteri subisce un disequilibrio a favore della concentrazione sulla diffusione, in democrazia accettabile solo in un quadro normativo di riferimento certo che ne disciplini modalità, forma, tempi e controlli, ad evitare discrezionalità e, soprattutto, abusi. Il problema si declina differentemente a seconda dell’assetto istituzionale di ogni Paese, anche se – sia detto per inciso in questa sede – il fenomeno del Covid-19 ha posto la questione della necessità di trovare momenti di sintesi sovranazionale, se non decisori quanto meno di concertazione più stringente. A Costituzione vigente, e cioè dal giugno 1948, l’Italia non si era mai ritrovata in una situazione di emergenza estesa a tutto il territorio nazionale. Perciò l’impatto sul nostro assetto istituzionale è stato veramente notevole e la verifica sulla sua tenuta non può essere trascurata, almeno nei suoi profili essenziali, ricordando che la nostra è una democrazia parlamentare. Secondo il nostro ordinamento, in caso di calamità il primo atto da adottare èdi competenza del Consiglio dei Ministri che dichiaralo stato di emergenza con propria deliberazione: tanto ha fatto nella seduta del 31 gennaio 2020 per affrontare il COVID-19. Da quel momento cambiano le regole con cui normalmente opera la Pubblica Amministrazione, perché si semplificano le procedure secondo il sistema della Protezione Civile per i soccorsi e gli interventi, come la messa in sicurezza di luoghi o l’acquisto di materiali. Il discorso cambia se l’emergenza rende necessaria anche la limitazione di diritti personali e sociali costituzionalmente garantiti e protetti, come la libertà di movimento, quella di riunione o di iniziativa economica. In questo caso occorre una legge, per espressa riserva Costituzionale. E’ stata rispettata in questo caso? E se si, come? La riserva ha trovato riscontro con il ricorso al decreto legge, cioè all’esercizio, del potere legislativo da parte del Governo soggetto alla conversione del Parlamento: in particolare il Decreto Legge N.6 del 23.2.2020 poi convertito nella Legge N.13 del 5.3.2020. L’art. 1 contiene un elenco dettagliato delle misure per contrastare l’epidemia, con incidenza sulle libertà personali e sociali. Ma all’art.2 se ne escludeva di fatto la tassatività,con una norma che consentiva di andare oltre in maniera generica e ponendo fondati dubbi di costituzionalità: perciò, opportunamente,tale disposizione è stata eliminata col Decreto Legge N.19 del 25.3.2020. Al successivo art. 3 l’adozione in concreto delle misure è stata demandata al Presidente del Consiglio dei Ministri con propri decreti (DPCM), sentiti gli altri Ministri competenti e i Presidenti delle Regioni nel caso in cui esse riguardino esclusivamente una o più Regioni, i cosiddetti DPCM. Scelta molto discussa. In questo quadro di riferimento i deliberati del Presidente del Consiglio dei Ministri non possono mai essere contrastati con le ordinanze delle altre Autorità, centrali (Ministri) e periferiche (Presidenti Regione e Sindaci), cui è affidato un potere residuale, sussidiario ed attuativo nella sfera di propria stretta competenza territoriale e per materia. Ma ecco che, evidentemente a fronte di una dilagante bulimia da ordinanza, specie da parte dei Sindaci,causa di confusione e disorientamento nella pubblica opinione, si è reso necessario inserire nel Decreto Legge N. 9 del 2 marzo 2020 all’art.35 la previsione secondo cui “non possono essere adottate e, ove adottate sono inefficaci, le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza da COVID 2019 in contrasto con le misure statali”. Disposizione ribadita, se possibile con più nettezza, dall’art. 3/II° comma Decreto Legge N.19/2020. La loro inefficacia ex lege le rende inutilmente emanate, e le ragioni della perseveranza di alcuni Sindaci possono forse ritrovarsi nell’esigenza di dare in buona fede risposte alle domande securitarie della popolazione, oppure – si spera in minor misura –nella frase di un Costituzionalista che, occupandosi del tema, ebbe a scrivere che “la necessità è solo una parola per la volontà di potenza”. L’abuso del ricorso alle ordinanze vale così solo ad esporre gli enti territoriali al rischio di azioni risarcitorie da parte dei privati e mette in imbarazzo le forze dell’ordine, chiamate a svolgere una funzione interpretativa che non le compete, per ponderare se la norma da rispettare sia quella statale o locale. Nella situazione emergenziale, dunque,è ineluttabile che cambi anche l’equilibrio nella distribuzione dei poteri tra i vari livelli di Governo territoriale, Stato Regioni e Comuni, con un necessario maggiore accentramento a scapito dell’autonomia, ma a potenziale beneficio della rapidità ed efficienza delle decisioni e della loro uniformità su tutto il territorio nazionale. Cosa che risponde anche all’esigenza del cittadino di riconoscere immediatamente il centro di riferimento delle responsabilità. E così ci sono state e permangono tensioni tra il Governo e le Regioni del Nord più colpite, su tutte la Lombardia, sull’organizzazione sanitaria e sull’adozione delle misure restrittive, alla ricerca dell’equilibrio tra le ragioni indefettibili della tutela della salute e quelle della cura dell’economia e della tenuta del nostro sistema produttivo a rischio collasso. Il rapido succedersi degli eventi, ad un certo punto, ha fatto però perdere la bussola del corretto esercizio dei poteri, scoprendosi che tutti – dal Presidente del Consiglio con i suoi DPCM ai Governatori ed ai Sindaci – erano andati oltre il limite, rappresentato dalla riserva di legge per come sopra esercitata. Perciò è stato necessario intervenire con il Decreto Legge N.19 del 25.3.2020 per integrare, in un atto legislativo, l’elenco –questa volta tassativo– delle misure di contenimento spesso fortemente limitative delle libertà fondamentali dell’individuo, facendo in qualche modo salvi ex post– con operazione di dubbia legittimità –gli effetti prodotti dai provvedimenti emanati al di fuori della cornice costituzionale. Ma ribadendo, in ogni caso, la primazia dello Stato e dei DPCM da una parte e l’inefficacia dei provvedimenti di altre Autorità con essi in contrasto dall’altra, salvo il riconoscimento di alcuni effetti provvisori e temporanei in casi di estrema necessità ed urgenza. Un testo non proprio ben scritto al pari di altri prodotti in questo periodo, che si spera possa essere migliorato in sede di conversione parlamentare. L’incertezza è uscita confermata e rafforzata dall’emanazione dell’ennesimo DPCM del10 aprile, frutto di compromesso per la salvaguardia di equilibri politico-istituzionali, cui è seguito il caos in sede di applicazione fin dal primo giorno. E si può immaginare cosa potrà succedere nella fase 2! Insomma la pandemia ha impattato un sistema istituzionale che ha denunciato diverse criticità. Come i limiti di questo nostro regionalismo, mai definitivamente compiuto e sempre oggetto di spinte contrapposte tradottisi in contraddittorie riforme costituzionali, di cui dovremmo ricordarci quando – in condizioni di normalità – si tornerà a parlare di autonomia differenziata: per la Sanità e non solo. Oppure il rispetto della natura parlamentare della nostra democrazia e la necessità che siano le assemblee elettive a decidere su temi delicati come la compressione dei diritti di libertà personali e sociali tutelati dalla Costituzione, anche in una situazione di emergenza che richiede tempi rapidi nelle decisioni. Per il dopo, penso ad una legge quadro chiara che prefiguri ben definiti organi di gestione dell’emergenza da insediare con automatismi e senza lasciare spazi alla discrezionalità contingente del Governo; penso ad interventi sui regolamenti parlamentari. Poi occorrerà prendere atto dell’inadeguatezza dimostrata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri come strumento attuativo, dato che espone il Premier ad una sovraesposizione estranea al nostro Ordinamento e procura ostacoli alla creazione di un necessario clima politico di unità. Potrebbe prestarsi meglio lo strumento del Regolamento governativo, che prevede la delibera del Consiglio dei Ministri e, quindi, richiede la collegialità del Governo; la sua sottoposizione al preventivo parere del Consiglio di Stato per l’esame di legittimità; ed infine il recepimento in un Decreto del Presidente della Repubblica, rappresentante dell’Unità nazionale e custode della Costituzione. Un’idea, tra le tante. Il post-emergenza, ci riserverà sicuramente un dibattito acceso sui punti accennati. Questo al nostro interno. Perché, come accennato prima, siamo di fronte a problemi che vanno oltre i confini nazionali e diventano continentali e mondiali. Oggi non sappiamo ancora come da questa vicenda uscirà l’Europa, ed è un tema cruciale in prospettiva. Guai se non prevalessero il senso di Comunità e la solidarietà.
(Fonte: Otto Torri sullo Jonio – Associazione Europea)/(FOTOILFATTOQUOTIDIANO.IT)
|